Dario Romano: Il mito di Venere e Adone in 5 capolavori
Tiziano, Venere e Adone, 1553, Museo del Prado, Madrid.
Venere e Adone è uno dei miti più di successo nella storia dell'arte. Il mito, derivato dalle metamorfosi di Ovidio, ci racconta che Adone abbandona l'amata Venere per andare a cacciare
e qui viene ucciso da un cinghiale inferocito. La prima opera di successo, di questa tematica, risale al 1553, anno in cui Tiziano Vecellio dipinge per Filippo II, Re di Spagna, la prima delle sue celebri poesie - così sono chiamati i dipinti che il sommo pittore dipinge per il Re - introducendola in una lettera indirizzata proprio al Re, in cui si legge "perché la
Danae, che io mandai già a vostra Maestà, si vedeva tutta dalla
parte dinanzi, ho voluto in quest'altra poesia variare, e farle
mostrare la contraria parte, acciocché riesca il camerino, dove
hanno da stare, più grazioso alla vista". Questa contraria parte, a cui fa riferimento Tiziano, è proprio Venere in Venere e Adone. Tiziano fa di questo
tema una nuova interpretazione e rappresentazione che mette in risalto tutto il suo infinito estro creativo: è l'alba, e dopo una notte d'amore e di passione tra Venere e Adone, quest'ultimo si prepara a partire per la caccia preparando i suoi cani, mentre Cupido dorme, rimanendo ignaro di quanto stia accadendo. Risulta inutile il tentativo della bella Venere di trattenerlo. Peraltro in lei si evince l'invenzione di Tiziano nel rappresentare la pressione del fondoschiena seduto: un dettaglio sensuale che farà scuola nei secoli, soprattutto in un pittore come Pieter Paul Rubens. E’ rappresentato il momento
dell’abbandono di Venere la quale torcendo il corpo, cerca di
impedire che vada via, trattenendo il giovane. La partenza è favorita
anche da Amore che dorme e non può nulla in quel momento. A Tiziano non interessa dipingere il momento della morte di Adone, perché per lui è importante farci capire la negatività della caccia come metafora della vita, soggetta ai problemi della fortuna e soggetta alla giustizia divina. La fuga di
Adone non è narrata da Ovidio e dalla tradizione, Tiziano la inventa:
non è più Venere che parte ma Adone che preferisce la caccia,
accentuando la decisione tragica e il vano tentativo di Venere di
trattenerlo. L’intera composizione con dettagli come l'anfora rovesciata a terra ed Amore che dorme con in mano la freccia della passione fa pensare ad un grande erotismo non
consumato, forse interrotto. Un dettaglio che enfatizza la grandezza di questo dipinto è la postura di Venere, che dà veramente l'impressione di essere stata svegliata da Adone, compiendo una vana torsione nel tentativo di fermarlo. Quest’opera rappresenta il debutto del Lato B,
enfatizzando la carnalità e la componente erotica e mai volgare, a cui
Tiziano ci ha ormai abituato. L'opera riscorse enorme successo, tanto che Tiziano ha dovuto realizzare almeno 7 versioni di essa; inoltre l'invenzione iconografica Tizianesca, ha influenzato e spinto gli altri pittori a dipingere questo preciso momento nelle proprie opere di Venere e Adone. Uno di questi è sicuramente il grande Paolo Veronese che dipingerà nel 1562, dunque 9 anni dopo Tiziano, la sua prima versione di questa tematica mitologica. Il Veronese riprende l'iconografia di Tiziano, ma vi sono alcune differenze, una di queste è sicuramente Amore, che se nel Tiziano è dormiente, qui al contrario appare sveglio, nel tentativo di fermare i cani di Adone. Tuttavia, anche se il Veronese riprende la postazione di spalle della Venere Tizianesca, la composizione appare meno drammatica in quanto la dea non compie la stessa disperata torsione di quella di Tiziano, anche se vi è più concitazione dovuta alla presenza attiva di Amore. Veronese tornerà a dipingere nel 1580 un'altra versione di Venere e Adone. In questa nuova versione Venere è girata fronte allo spettatore e si può notare in tutta la sua bellezza: ha la pelle chiara, una bellissima e complessa acconciatura bionda, le guance e le labbra rosee, in linea con un ideale di bellezza sviluppato da Tiziano nel '500. Veronese è sempre stato conosciuto per essere il pittore della bellezza ed in quest'opera notiamo che la Dea appare coprendosi il torso nudo con un braccio. Lei assume le sembianze di una seducente giovane contemporanea del pittore e con un ventaglio di bandiera rinfresca Adone. I dintorni lussureggianti e frondosi evocano il luogo ideale per l'amore, come descritto nella poesia pastorale antica e contemporanea. Il contrasto tra l'allettante nudità della dea e la sua espressione è straordinariamente drammatico: Le sue labbra leggermente dischiuse, i suoi occhi spalancati e la sua fronte sollevata esprimono sorpresa e sperimenterà presto un'intensa sofferenza dovuta alla imminente morte dell'amato. La posizione della faretra e l'atteggiamento del cane sono allusioni al sesso e alla caccia. Adone giace in grembo a Venere, con la mano destra appoggiata su un corno da caccia. (Accanto a lui, sul pavimento, c'è uno strano oggetto; sembra un bicchiere con un bordo d'oro e protetto da una copertura di pelle di animale.) Il sogno di Adone evoca il recente incontro d'amore. Anticipa anche la sua morte: la sua postura ricorda quella del Cristo sdraiato nelle note composizioni della Vergine con il corpo senza vita del figlio (la Pietà). Come Venere, il giovane cacciatore indossa abiti pesanti. Gli abiti di lei sono viola, con un disegno floreale ispirato ai modelli ottomani. Quelli di Adone sono di un arancione brillante. Rendono giustizia alla fama del Veronese come pittore di colori e ci ricordano che una delle virtù del nostro artista è quella di insegnarci ad amare la bellezza, soprattutto quella dei colori e dell'armonia cromatica, campo in cui fu il maestro indiscusso per antonomasia ed insuperabile. Il colore arancione è quello che attira maggiormente l'attenzione. Veronese ha prodotto questa tonalità intensa mescolando un pigmento raro. I capolavori di Veronese e Tiziano influenzeranno la realizzazione della medesima opera di Annibale Carracci, realizzata nel 1595. Qui Lo sfondo paesaggistico e la luce crepuscolare sono legati al cromatismo veneziano e alla produzione di Tiziano, mentre il classicismo delicato ma potente è tipico di Annibale. A differenza di Tiziano e Veronese, Annibale dipinge il momento del primo incontro tra Venere e Adone. Dunque notiamo il Cupido che ci guarda compiaciuto perché sta per sbocciare un nuovo amore. Amore ha infatti inflitto la freccia della passione a Venere, dalla quale possiamo vedere tracce di sangue dal suo petto, ed all'improvviso irrompe sulla scena Adone. Risulta straordinario l'intreccio di sguardi delle due figure raffigurate dal Carracci: questo intreccio ci comunica il colpo di fulmine appena nato tra Adone e Venere, e dunque Annibale ci parla di un'esaltazione dell'amore. E' un'esaltazione dell'amore che esplode nella scultura Venere e Adone del Canova. In Canova vi è un vero e proprio idillio dell'amore, in cui i due innamorati sono immersi in una dimensione di assoluta intimità: i due sembrano esterni alla realtà, al mondo del reale,
e sembrano evocare un perfetto mondo ideale, guardandosi dolcemente negli
occhi, e con labbra socchiuse; Canova si dimostra il maestro assoluto dell’idillio
amoroso. I due amanti sono scolpiti in piedi, con Venere che
si poggia sul suo amato, quest’ultimo come fosse una colonna, con l'intento di sedurlo per poterlo trattenere. Lo sguardo del giovane è invece segnato da una certa preoccupazione e tristezza, come se avvertisse il tragico destino della sua caccia. Canova sembra proprio volerci dire quanto sia importante l'amore, virtù da seguire e allo stesso tempo quanto sia l'inutile guerra della caccia, esempio da non seguire. Canova ci ricorda il motto del "fate l'amore e non la guerra", facendo esplodere del tutto quell'idillio amoroso appena scoppiato di cui si è fatto testimone Annibale Carracci. Le opere degli artisti sono, dunque, come una vera e propria catena, dove Tiziano ed il Veronese ci hanno illustrato e fatto capire la drammaticità della scena e della negatività che porta la caccia, ed in generale la guerra preferita all'amore; mentre il Carracci ed il Canova si sono fatti straordinari interpreti dell'esaltazione amorosa, continuando in una perfetta dimensione di coerenza e di straordinaria maestria stilistica, i discorsi dei due sommi pittori veneti.
Paolo Veronese, Venere e Adone, 1580, Museo del Prado, Madrid.
Antonio Canova, Venere e Adone, 1789-94, Museo d'arte e storia, Ginevra.
Articolo di Dario Romano. Per fonti e approfondimenti: il contenuto è tratto dai miei libri Tiziano: Il Regno del colore del più eccellente di quanti hanno dipinto, Manierismo: I grandi maestri della pittura (L'arte del Rinascimento), Antonio Canova: Il Divino scultore e il Regno della perfezione ideale.
Meravigliose opere. Grazie per questa ennesima interessante lezione prof.
RispondiEliminaGrazie mille ❤️🎨
EliminaUn applauso a questo ragazzo che divulga e critica l'arte come pochi oggi. Condividetelo il più possibile, abbiamo bisogno di gente così soprattutto oggi perché l'arte è ormai trascurata. Ho acquistato pure il suo libro su Caravaggio ed è scritto veramente in maniera cinica, impeccabile e magistrale, come gli articoli che scrive su questo blog. 👏🏻
RispondiEliminaGrazie mille ❤️🎨
EliminaGran bella spiegazione tra il mito di Venere e Adone e l'arte, è sempre un piacere leggerti.
RispondiEliminaGrazie mille❤️🎨
EliminaChe meraviglia tutto, articolo e opere... Grazie...
RispondiEliminaGrazie mille ❤️🎨
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