Dario Romano: Van Gogh, il pittore che trasformò il dolore in colore

 

Van Gogh, Autoritratto con cappello verde di feltro, 1887, olio su cartone, 19x14cm, Amsterdam, Van Gogh, Museum.

Quando si guarda un’opera di Vincent van Gogh, ciò che colpisce immediatamente è la forza espressiva del colore. Pennellate corpose, dense, stese con un’energia fortissima, diventano il mezzo attraverso cui l’artista esprime ogni moto dell’anima. Per van Gogh, la pittura non è mai stata rappresentazione del reale: è vita interiore. È una forma di salvezza ma anche una testimonianza bruciante del dolore.

Pittura come missione spirituale

Van Gogh iniziò a dipingere solo a trent’anni, quando molti artisti erano già maturi o affermati. Prima fu predicatore tra i minatori, ispirato da ideali di fratellanza umanitaria. Poi, abbandonò ogni cosa per investire se stesso nella pittura. “Qui è cominciata la mia vera vita”, scriveva al fratello Theo, che lo sostenne fino alla morte. E in effetti, tutta la sua opera è un grido dell’anima, dove l’arte diventa gesto redentivo.

Il realismo umanitario dei Mangiatori di Patate

Uno dei primi capolavori è I mangiatori di patate (1885): cinque figure raccolte attorno a un tavolo mangiano patate in una casa contadina. L’ambiente è umile, l’aria sembra satura di fumo e miseria, eppure la scena vibra di una sacralità struggente. Van Gogh non cerca l’estetica, ma la verità della vita umile. È una pittura spessa, ruvida, quasi primitiva, ma capace di commuovere profondamente. L’uomo, per van Gogh, non ha bisogno di essere bello per essere degno.

Van Gogh, i mangiatori di patate, 1885, olio su tela, 82x114cm, Museo Van Gogh, Amsterdam.

Il colore come rivelazione

Con l’arrivo a Parigi nel 1886, Vincent entra in contatto con gli impressionisti e la pittura puntinista. Ma non si limita a imitare: trasforma tutto. Il colore diventa puro, potente, visionario. Nei girasoli, il giallo domina: è il simbolo della luce interiore, della verità spirituale, della vita che resiste. “I girasoli sono me”, scriverà. Van Gogh non descrive fiori, ma la propria esistenza.
Van Gogh, serie dei girasoli.

L’influenza dell’arte giapponese

Le stampe ukiyo-e giapponesi colpiscono profondamente l’artista: linee fluide, colori piatti, assenza di chiaroscuro. In opere come il Ritratto di Père Tanguy, Ramo di mandorlo fiorito o gli alberi in fiore, l’influenza orientale è evidente. Non è solo estetica: per van Gogh, l’arte giapponese rappresenta un ideale di purezza, armonia, essenzialità.
Van Gogh, Mandorlo in fiore, 1890, olio su tela, 74x92cm, Van Gogh Museum, Amsterdam.

La visione simbolica: Notte stellata e Caffè di notte

Con Il caffè di notte (1888), van Gogh usa il colore in modo del tutto nuovo: rosso e verde violento si scontrano per rappresentare le passioni umane più oscure. È l’inizio della sua pittura visionaria, in cui il colore diventa linguaggio dell’inconscio. In La notte stellata (1889), le stelle ruotano in un cielo turbinante, come se fossero pensieri in fuga. Il cipresso si alza come una fiamma nera verso l’ignoto. È un’opera che non descrive il cielo, ma il tumulto interiore dell’artista.
Van Gogh, Caffè di notte, 1888, olio su tela, 70x89cm, Art Gallery dell'Università di Yale.
Van Gogh, Notte stellata, 1889, oleografia su tela, 74x92cm, Museo d'arte moderna di New York.

La camera di Arles: il rifugio fragile

In La camera di Arles, apparentemente tutto è calmo: un letto, una sedia, pochi oggetti. Ma la prospettiva obliqua, i colori accesi, i contorni marcati, trasmettono un senso di disagio e malinconia trattenuta. È il desiderio di ordine mentale, di serenità. Un desiderio irraggiungibile.

Autoritratti e ritratti dell’anima

Van Gogh si dipinge ossessivamente. Ogni autoritratto è uno specchio dell’anima, una confessione silenziosa. In quello con cappello di feltro (1887), il volto è scavato, lo sguardo intenso, i colori vibrano. In Il dottor Gachet (1890), il medico psichiatra è rappresentato con la posa della malinconia: “È un autoritratto”, scrive Vincent, “perché Gachet è rosso come me, e soffre come me.”
Van Gogh, camera di Arles, 1888, 73x91cm, Van Gogh Museum, Amsterdam.

Van Gogh, Ritratto del Dottor Gachet, 1890, olio su tela, 68x57cm, collezione privata.

Il campo di grano con volo di corvi: un addio alla vita

L’ultima opera simbolo è Campo di grano con volo di corvi (1890). Il cielo è plumbeo, i corvi oscurano l’orizzonte, la strada centrale sembra non condurre a nulla. È la raffigurazione visiva della disperazione, dell’assenza di speranza. Pochi giorni dopo, van Gogh muore. Ma ci lascia una pittura che, con forza disarmante, ci parla ancora oggi. Lui non ebbe il dono innato della tecnica pittorica o il talento naturale, come i grandi maestri del passato. Lui ebbe il dono di raccontare la verità, soprattutto quella dei moti d'animo interiori. Non cercò mai il successo, e visse nella miseria. Eppure, trasformò il dolore in bellezza, la sofferenza in arte, l’angoscia in colore. La sua pittura è una profezia, un canto struggente, un grido di luce che continua a vibrare nelle gallerie di tutto il mondo.

“Che cos’è l’arte se non la più profonda espressione della vita interiore dell’uomo?”
– Vincent van Gogh

Van Gogh, Campo di grano con corvi, 1890, 51x103cm, Van Gogh Museum, Amsterdam.

Articolo di Dario Romano di Arte Divulgata. Per fonti e approfondimenti, il contenuto è tratto dal mio libro: Vincent van Gogh: il colore come linguaggio dell'anima













Commenti

  1. Provvidenza Ferrante7 luglio 2025 alle ore 12:44

    Grandi capolavori emozioni incredibili

    RispondiElimina
  2. Mi piace tanto quest recensione

    RispondiElimina
  3. Grande! Sia tu che Van Gogh!

    RispondiElimina

Posta un commento