Dario Romano: Il genio di Mariano Fortuny in occasione del suo anniversario di nascita
Interno di Museo Palazzo Fortuny.
Storia del Palazzo
Il Palazzo Fortuny venne fatto edificare da un nobile veneziano, Benedetto Pesaro. I nobili Pesaro vi abitarono fino al XVIII secolo. L'edificio, ampliato e trasformato nel corso dei secoli, si presenta con l’imponenza della sua maestosa mole con una facciata verso il rio di Ca’ Michiel e con una più ampia su campo San Beneto. Il palazzo, la cui struttura architettonica risponde pienamente alla tradizione veneziana, vanta soluzioni di straordinario pregio, come le quattro polifore del primo e del secondo piano nobile, e una inusuale profondità delle sale passanti tra le due facciate, oltre 43 metri di lunghezza, che fanno di questo edificio la più vasta costruzione privata del tardo gotico rinascimentale veneziano e uno dei più alti capolavori architettonici del tardo gotico. All'inizio del XX secolo, l'artista Mariano Fortuny decise di acquistare l'edificio per farne la dimora del proprio atelier, attratto dal suggestivo stile, ma esso versava in una situazione di degrado e di abbandono. Nel corso degli anni, Fortuny iniziò il lavoro di recupero dell'edificio riportandolo allo splendore di cui esso meritava. Dopo la morte di Fortuny, avvenuta il 2 maggio 1949, l’edificio fu donato dalla moglie Henriette nel 1956 al Comune di Venezia per essere “utilizzato perpetuamente come centro di cultura in rapporto con l’arte; il salone centrale al primo piano dovrà conservare le caratteristiche di ciò che fu lo studio preferito di Mariano Fortuny y Madrazo, con le opere, i mobili e gli oggetti che vi si trovano attualmente; l’immobile dovrà essere denominato Palazzo Pesaro Fortuny”, come espressamente indicato nell’atto notarile. L’Amministrazione cittadina di fatto ne ebbe pieno possesso nel 1965, alla morte di Henriette. Dieci anni dopo, nel 1975, finalmente si aprì al pubblico il Museo. Nel 1978 l’Amministrazione veneziana completò la proprietà acquistando l’Androne al piano terreno, conferendo finalmente integrità all’intero complesso.
La facciata di Palazzo Fortuny.
Mariano Fortuny
Mariano Fortuny y Madrazo nasce a Granada nel 1871. Figlio d’arte e assai presto inserito nel gran mondo parigino, compie innanzitutto studi pittorici. Diciottenne si stabilisce a Venezia, ove frequenta circoli accademici e cenacoli artistici internazionali: tra i suoi amici Gabriele D’Annunzio, Ugo Ojetti, Eleonora Duse, Hugo von Hofmannsthal, la marchesa Casati, Giovanni Boldini, il principe Fritz Hohenlohe-Waldenburg. Dopo un viaggio a Bayreuth, fortemente attratto dalla musica di Richard Wagner, volge i suoi interessi dalla pittura alla scenografia e all’illuminotecnica. L’intento è quello di realizzare la piena unione tra significato ultimo della musica e pittura teatrale. Nel 1900, l'eclettico genio, realizza alcune scene e costumi per la prima assoluta del Tristano e Isotta alla Scala di Milano. Contemporaneamente inizia a prender corpo l’idea della “Cupola”, cioè quel sistema illuminotecnico complesso che libererà la scenografia teatrale dalle rigide impostazioni tradizionali mediante l’uso della luce indiretta e diffusa. L’ambiente teatrale parigino (da Adolphe Appia a Sarah Bernardt ) gli dimostra attenzione, ma è poi con la mecenate contessa di Bearn che la rivoluzione scenotecnica di Fortuny trova completa applicazione: tra il 1903 e 1906 il teatro privato della contessa viene dotato di un sistema integrato e rinnovato di cupola, luce indiretta, proiezione di cieli colorati e nuvole: è la fama. Ma la creatività di Mariano cerca stimoli nuovi: inizia a creare stoffe e tessuti stampati, in sodalizio con Henriette, che sposerà nel 1924. Con lei crea Delphos, l’abito in seta plissettata che lo rende famoso in tutto il mondo. Nel 1919 a Venezia, alla Giudecca, fonda la fabbrica per la produzione industriale delle sue stoffe in cotone e apre boutique nelle maggiori capitali europee. Nel frattempo decora e illumina palazzi e musei in tutta Europa, riceve riconoscimenti e titoli onorifici. Non vengono meno, in questi anni sempre più intensi, l’interesse – e le commissioni – per il teatro e la scenografia. Sono di questi anni l’installazione della sua “Cupola” presso il Teatro La Scala di Milano e del 1929 l’applicazione del suo dispositivo scenotecnico per la realizzazione dei “Carri di Tespi” itineranti. Degli anni Trenta sono altre invenzioni: dalla carta da stampa fotografica ai colori a “Tempera Fortuny” e agli interventi illuminotecnici sui grandi cicli pittorici veneziani di Tintoretto a San Rocco e di Carpaccio a San Giorgio. Sul finire del decennio, Mariano si ritira nella sua sfarzosa dimora di San Beneto, dove riprende lo studio della pittura e raccoglie le memorie della sua eclettica attività. Muore nel 1949, dopo aver arricchito la sua dimora con lavori di pittura, di scultura, di luce, generando una sorta di straordinario insieme di arredo noto come "giardino incantato" animato da figure femminili, immagini allegoriche e animali esotici in un contesto architettonico in cui aveva ricreato ambienti decorativi straordinari con motivi floreali e vegetali. Viene sepolto al Verano, a Roma, accanto all’illustre padre Mariano Fortuny Marsal.
La Casa Museo
Nel primo piano della casa museo è possibile ammirare il Giardino d'Inverno: La sala stupisce per l’inaspettato ciclo parietale: opera voluta e realizzata da Mariano Fortuny che per questo progetto inventò una speciale intelaiatura di carta incollata su teli di canapa dipinti e fissati alle pareti. La composizione copre tre lati della stanza, per una superficie totale di circa 140 metri quadrati. Iniziata nel 1915, fu completata negli anni Quaranta. Sostenuta dall’artificio del trompe-l’œil e da un’armoniosa stesura di colori, la creazione conferisce allo spazio una grande luminosità. Un ideale “giardino incantato” animato da figure allegoriche, satiri e animali esotici: tutti ambientati in una loggia corinzia “alla Veronese”, arricchita da lussureggianti motivi vegetali, rigogliose ghirlande e raffinati drappi. Al centro della sala si formano idealmente due ambienti. Chi entra dal Portego può ammirare i dipinti appartenenti al ciclo dedicato ai Quattro Elementi – Aria, Terra, Fuoco, Acqua – sicuramente realizzati alla fine degli anni Quaranta: un tema legato all’iconografia classica, molto caro all’artista che lo utilizza ripetutamente in una libera interpretazione espressiva ispirata dalla letteratura e dall’ideale simbolista. Nella seconda parte della sala, superato l’architrave, a fianco dell’Abbraccio di Siegmund e Sieglinde dalla Valchiria di Richard Wagner, si scopre il modello del Teatro delle Feste progettato da Mariano Fortuny nel 1910 in collaborazione con Gabriele d’Annunzio e l’architetto francese Lucien Hesse. Un’autentica sintesi della sua poetica teatrale. Il progetto, mai realizzato, doveva sorgere all’Esplanade des Invalides, grazie al sostegno economico di due tra i più noti e ricchi personaggi di Francia dell’epoca: il barone Maurice de Rothschild e il senatore Deutsch de la Meurthe, a cui si sarebbe aggiunto l’impresario Josè Schürmann.
L'Atelier:
In questa sala d’angolo, illuminata da tre finestre gotiche, Mariano Fortuny è presente con una serie di dipinti, compreso un autoritratto. La pittura ha sempre ricoperto un ruolo primario nella vita dell’eclettico artista, ed è per questo motivo che si è voluto ricreare uno spazio dove idealmente lo incontriamo: seduto con la tavolozza e pronto a dipingere, rivolto alla dormeuse in attesa di accogliere la modella. Figlio d’arte, privilegiato da una formazione internazionale e da frequentazioni come quella in età precoce dell’atelier parigino di Benjamin Constant, affascinato dal simbolismo nordico, Mariano Fortuny elabora tutto questo con estrema originalità e sintesi. Appesi alle pareti vi sono dipinti di nudi femminili, tele preparatorie del ciclo dedicato ai Quattro Elementi e rappresentazioni di Allegorie: qui l’artista sperimenta e perfeziona soprattutto la pratica del disegno e l’uso del colore. Al centro della sala tre monumentali calchi in gesso, copie del Torso del Belvedere e dal Fregio del Partenone: la testa di un cavallo e il busto di Ilissos, dio del fiume. Autentica forma d’arte, il nudo per Fortuny, come per tutti gli artisti accademici, è un esercizio fondamentale per assimilare, attraverso gli studi di anatomia, la lezione classica. Sul tavolo poggiano modelli in gesso ed esempi anatomici cui egli si ispirava, pur con visionaria modernità. La pittura per Mariano è il mezzo più importante per scoprire soluzioni innovative utili nelle discipline come la scenografia, la fotografia e la stampa su stoffa. Proprio per questo Mariano Fortuny approfondisce le ricerche sugli impasti di colore e sulle tecniche pittoriche fin dagli anni giovanili. Nel 1933 deposita un marchio “per attrezzi e colori per artisti in pittura e scultura”, che porterà alla commercializzazione delle “Tempere Fortuny”. I colori prodotti a Palazzo Pesaro degli Orfei sono quarantasei, più quattro da utilizzare per le preparazioni, messi in commercio e confezionati in tubi di varie dimensioni. Tempere ampiamente utilizzate ed elogiate da pittori, decoratori e restauratori suoi contemporanei, italiani e stranieri, sulla cui composizione Mariano ed Henriette manterranno sempre il più rigoroso riserbo. “Mi sono sempre interessato a molte cose diverse, ma il mio vero mestiere è sempre rimasto la pittura: dipingo dall’età di sette anni”.
IL VIRTUOSISMO DELLA PRODUZIONE TESSILE:
Mariano Fortuny soffrì amaramente per lo scoppio della guerra civile spagnola (1936-1939) e per le innumerevoli morti provocate da quel conflitto. Tra i caduti illustri ci fu Fernando Fernández de Córdoba y Pérez de Barradas, quattordicesimo duca di Lerma, che perse la vita negli scontri di Madrid del 10 settembre 1936. In sua memoria, su commissione della vedova Marı́a Luisa Bahı́a y Chacón, Fortuny realizzerà uno straordinario corredo funebre, oggi conservato a Toledo presso l’Hospital de Tavera. Il grande telo, su cui campeggiano gli stemmi nobiliari, è abbinato a un altrettanto sontuoso cuscino. Il lavoro venne eseguito nel 1939 e utilizzato per le esequie del duca celebrate a Toledo il 3 luglio 1940. Il Museo Fortuny ne conserva gli esemplari preparatori che, assieme a una dalmatica in velluto nero stampata in oro e argento con motivi ispirati al Rinascimento Veneziano, rappresentano alcuni tra gli esempi più significativi e spettacolari della produzione tessile dell’atelier. Qui la decorazione raggiunge livelli di altissimo virtuosismo esecutivo, sostenuto dal superamento dell’ispirazione rinascimentale attraverso una rielaborazione e contaminazione di stili che rendono questo corredo funebre unico e irripetibile.
Un’abilità che Mariano conferma anche nella realizzazione degli abiti per l’Otello di Giuseppe Verdi, andato in scena il 18 agosto 1933 nel suggestivo cortile di Palazzo Ducale a Venezia con la compagnia di Kiki Palmer per la regia di Pietro Sharoff. La decorazione dell’ambientazione scenica, i costumi degli interpreti – quello di Otello espressamente disegnato da Mariano – e delle quattrocento comparse vennero realizzati con le stoffe Fortuny. Due esemplari si possono ammirare proprio vicino al corredo funebre. Questi mantelli con cappuccio citano alcuni abiti presenti nel telero del Miracolo della Croce a Rialto (o Guarigione dell’ossesso) di Vittore Carpaccio, ricordando le assidue frequentazioni di Mariano alle Gallerie dell’Accademia.
Sala dei Maestri:
La copia da dipinti di grandi maestri è un esercizio ricorrente nella formazione di ogni artista. Cosı̀ anche per Mariano Fortuny. Cresciuto nell’ambito della tradizione accademica di fine Ottocento, Mariano viene avviato alla pratica della pittura già in giovane età durante gli anni parigini (1878-1888), sotto la guida dello zio materno Raimundo de Madrazo y Garreta (Roma 1841 – Versailles 1920). Ideale maestro è il padre Marsal, scomparso giovanissimo a trentasei anni, valente pittore che praticò l’arte della copia realizzando riproduzioni di qualità ineguagliabile dai suoi contemporanei, prediligendo, tra gli artisti veneziani, Tiziano, Tintoretto, Veronese, Tiepolo, e poi Ribera, Velàzquez, Murillo, ma soprattutto Goya. In quegli anni Mariano incontra, quali abituali frequentatori della residenza parigina dei Madrazo, artisti come Ernest Meissonier, Jean-Léon Gérôme, Paul Baudry, James Tissot, Léon Bonnat, Emmanuel Fremiet, Alfred Stevens, Georges Clairin, Giovanni Boldini e Benjamin-Constant. Nello studio di quest’ultimo Mariano apprende i principi fondamentali della pittura tradizionale. L’esercizio della copia è una costante nella sua vita artistica. Tra gli autori preferiti: Tiziano, Tintoretto, il pittore più amato con ben undici copie, Tiepolo e Rubens. Accanto ai dipinti, dentro un antico armadio si può ammirare un prezioso piviale, ampia veste liturgica la cui decorazione è realizzata attraverso una speciale tecnica brevettata nel 1909-1910 da Mariano che in questo caso si ispira, accogliendone la suggestione stilistica, a moduli decorativi rinascimentali.
SALA MODA:
Nella moda e nei tessuti Mariano Fortuny esprime la sua più alta vena creativa e nel 1907 questa sua passione si traduce in una vera attività. Ricorderà lo stesso Mariano: “Antichi frammenti tessili stampati, ritrovati in Grecia, mi hanno fatto venire l’idea di studiare delle tecniche di impressione su stoffa, cosı̀ assieme a mia moglie abbiamo fondato in Palazzo Orfei un atelier per la stampa secondo i nostri metodi”. Il 24 novembre 1907, a Berlino, Mariano presenta lo scialle in seta stampata Knossos, indossato per l’occasione da Ruth St. Denis (1879-1968), ballerina e coreografa statunitense, pioniera della danza moderna. Si tratta di un rettangolo di seta lungo quasi cinque metri e largo poco più di un metro, caratterizzato da motivi decorativi di stile minoico antico, stampati con l’inedito sistema fortunyano. Questo velo poteva essere indossato in diversi modi: come copricapo oppure morbidamente avvolto attorno al corpo, come si può ammirare nel dipinto qui esposto di Mariano Fortuny che ritrae la moglie Henriette Nigrin. Nel 1909 e 1910 Fortuny brevetta due tecniche di stampa e realizza una delle sue creazioni più note: il Delphos, veste in seta di forma semplice ed essenziale, ispirata alla statuaria ellenistica. Nato da un’idea di Henriette, l’abito si presenta come una tunica monocroma, caratterizzata da finissima plissettatura. Sagomata da fettucce interne, poggia sulle spalle e cade liberamente fino ai piedi, mentre lo scollo e le maniche sono regolabili da coulisse in cordoncini di seta arricchiti da perle di vetro di Murano. Solitamente il Delphos veniva indossato con una cintura di seta stampata e lo si poteva abbinare con altre produzioni Fortuny, come lo scialle Knossos, le sopravvesti in garza di seta o le giacche e le mantelle in velluto di seta stampato. Molte altre sono le tipologie di capi su cui si focalizza la produzione dell’atelier Fortuny: vesti, casacche, cappe, caftani, abaya, djellabba, burnus che, realizzati con tecniche a stampa brevettate dallo stesso Mariano, danno forma a un peculiare e moderno linguaggio stilistico, esito di una colta e raffinata rielaborazione di suggestioni tratte da epoche e culture differenti.
Sala Wagner:
Mariano Fortuny e Richard Wagner non si conobbero. Il compositore di Lipsia muore a Venezia il 13 febbraio 1883 quando Mariano Fortuny non ancora dodicenne. Bisognerà attendere il 1889 perché scatti quella passione che legherà per sempre Mariano a Wagner. In quello stesso anno che la madre, Cecilia de Madrazo y Garreta, acquista a Venezia Palazzo Martinengo per risiedervi assieme al figlio e alla figlia Maria Luisa. In questa residenza veneziana Mariano incontrerà l’intellettuale, critico e funzionario delle Belle Arti Angelo Conti (Roma 1860 – Capodimonte 1930) con cui condividerà l’ideale filosofico wagneriano. Da quel momento, all’età di diciannove anni, Fortuny comincerà a dipingere il ciclo di opere dedicate ai temi del grande compositore tedesco, con una predilezione per i drammi musicali di Parsifal, la tetralogia dell’Anello del Nibelungo e I maestri cantori di Norimberga. Se, insieme a Conti, Mariano Fortuny plaude all’ideale wagneriano, soprattutto con il pittore e incisore spagnolo Rogelio de Egusquiza (Santander 1845 Madrid 1915) – il quale aveva conosciuto il compositore tedesco e ne aveva eseguito vari ritratti – che condivide l’amore per la sua musica. Nel 1891 Mariano va al Bayreuther Festspiele, esperienza che replicherà nel 1892, (anno in cui Egusquiza presenterà alla famiglia Fortuny la vedova di Wagner, Cosima) e poi ancora nel 1894 e nel 1896. I dipinti alle pareti testimoniano come l’interesse per l’iconografia wagneriana abbia portato Mariano Fortuny ad allontanarsi dall’accademismo della formazione iniziale in favore di un sostanziale avvicinamento agli stilemi del simbolismo nordico, come appare chiaramente in alcuni di questi quadri risalenti agli anni Novanta dell’Ottocento. C’è una sospesa inquietudine nell’interpretazione wagneriana di Fortuny che con la sua vibrante pennellata riesce a trasmettere le peculiarità caratteriali dei personaggi. Wagner, per Mariano, più di una fonte ispiratrice: è l’origine delle sue ricerche e delle sue invenzioni nel campo della scenografia e della scenotecnica, che con eccezionale e coerente lungimiranza porterà avanti per tutta la vita.
Articolo di Dario Romano. Per approfondimenti e fonti, il contenuto è tratto da https://fortuny.visitmuve.it/.
Meraviglioso museo, lo visitai e rimasi impressionato dalla varietà delle cose bellissime che ci sono al suo interno, bellissimo!
RispondiEliminaGrande genio poliedrico, Museo visitato, un bellissimo posto.
RispondiElimina