Ritratto di Antonio Canova.
La storia dell'arte è disseminata di geni creativi che hanno lasciato un'impronta indelebile nel mondo dell'estetica e della bellezza. Uno di questi geni, spicca in modo particolare come il più grande scultore di tutti i tempi: Antonio Canova. La sua maestria nella scultura ha conquistato il mondo e le sue opere continuano a suscitare ammirazione e ispirazione secoli dopo la loro creazione. Moriva oggi 201 anni fa, ed in questo articolo proverò a raccontare il suo talento universale che abbraccia anche i rami della pittura e dell'architettura, nonché della diplomazia e della sovrintendenza.
La Vita e il genio universale (scultore, pittore, architetto, diplomatico, sovrintendente):
Antonio Canova nacque a Possagno (Treviso) il 1° Novembre 1757. L’artista
apparteneva a una famiglia di scalpellini, architetti e proprietari di cave a
Possagno. Il padre, architetto e lavoratore di pietra, morì quando Canova aveva
solamente 4 anni, così l’artista passò in affidamento al nonno Pasino a
Possagno, mentre la madre si risposò e si trasferì a Crespano. Il nonno Pasino,
abile tagliapietre, era noto per i suoi lavori in chiese e ville, ed istruì Canova alla lavorazione della pietra,
intuendo in lui talento ed enormi potenzialità. Il giovane venne introdotto alla lavorazione della pietra nel cantiere di Villa
Falier, dove si dimostrò il
più eccellente dell’arte lapicida, motivo per cui Giovanni Falier, si prese cura
della sua formazione artistica, mandandolo alla bottega di Giuseppe Bernardi. L’ammirazione
di Falier, verso il giovane Canova, sfociò quando in una cena di nobili
Veneziani, l’artista, allora solo un bambino, incise nel burro la monumentale figura del Leone san
Marco, con ali spiegate, eseguito con eccellente e straordinaria maestria,
tanto che tutti ne rimasero stupiti. Nel 1768, il
giovane Canova, si trasferì così a Venezia nella bottega del Torretti e l’esperienza
lagunare fu fondamentale: Venezia,
da sempre città artisticamente e culturalmente avanzata, custodisce grandi capolavori
classici di grandi maestri, da Tiziano a Tintoretto e Veronese, passando per
Palladio, tutte opere che il giovane Canova poté ammirare. L’artista così sviluppò
il gusto e l’ammirazione per l’arte classica, e a Venezia apprese anche le doti
imprenditoriali per poter costruire e mantenere una propria bottega. A Venezia,
Canova ammirò anche lo splendore e la bellezza di antiche sculture greche alla
galleria di Ca’ Farsetti, nel quartiere di Rialto, studiandole. Canova sa già trattare
il marmo e la pietra, come se fossero materiali duttili, e questa sua precoce
abilità gli procura i primi incarichi: i capolavori giovanili dei due canestri
di frutta, al Correr di Venezia, realizzati in marmo, nel 1773. Canova si
appassionò anche ai testi classici, iniziò a leggere le metamorfosi di Ovidio, da
cui trasse ispirazione per realizzare l’altro capolavoro giovanile: Orfeo e
Euridice. L’opera, oggi
conservata al Correr di Venezia, riscosse un grandioso successo, che permise l’ascesa
artistica di quello che sarebbe diventato il più grande scultore di ogni tempo. L’attenzione verso Canova si incrementa e così gli
incarichi e le commissioni si moltiplicano. L’apice del periodo giovanile viene
raggiunto dal capolavoro del Dedalo e Icaro, realizzato per il procuratore
Pietro Vettor Pisani e rappresenta la consacrazione artistica del Canova. L’artista
rappresentò il Dedalo e Icaro con straordinarie innovazioni tecniche: da una
parte vi è la ripresa del canone classico, con la figura idealizzata di Icaro,
mentre dall’altra vi è la monumentalità naturalistica del Dedalo,
caratterizzato per gli estremi tratti reali, in cui si notano le rughe, che
segnano il passare del tempo. In Icaro si può notare già il tratto distintivo
ideale del Canova, il maggiore artista del Neoclassicismo. Dopo
il capolavoro Veneziano del Dedalo e Icaro, che consacrò la fama artistica dell’artista,
Canova venne nominato nel Marzo del 1779 membro dell’Accademia Veneziana, a cui
l’artista donò in segno di riconoscenza e gratitudine, un Apollo in terracotta.
Al grandioso Canova venne proposta anche una cattedra d’insegnamento, incarico
che l’artista rifiutò, per il suo desiderio di andare a Roma, frutto del suo
gusto neoclassico. Così in un tempo in cui a Venezia dominava l’arte del Rococò
del Tiepolo e il Vedutismo del Canaletto, Antonio Canova partì da Venezia nell’Ottobre
del 1779, e arrivò a Roma il 4 Novembre in compagnia dell’architetto
Gianantonio Selva. A Roma, rivelatasi in seguito come seconda casa per Canova,
l’artista venne accolto calorosamente da Gerolamo Zulian, ambasciatore Veneto
presso la corte papale, che gli affidò uno studio e un alloggio presso il
Palazzo Venezia. Canova visse con grande entusiasmo le sue giornate capitoline,
dove visitò le opere custodite in città, su tutti l’Apollo del Belvedere ai
musei Vaticani, statua greca del 350 a.C. Canova frequentò anche l’Accademia di nudo, ed era
un assiduo frequentatore di teatro, per il suo amore verso gli spettacoli e la
danza. Inoltre grazie al sodalizio con Zulian, Canova colmò le sue lacune
culturali, imparando la lingua italiana, francese, inglese e leggendo i
classici greci e latini, studiando la mitologica classica. A Roma, erano
frequenti gli incontri con gli artisti Veneti, ma furono anche molto importanti
le amicizie instaurate con altri artisti stranieri, come Anton Raphael Mengs, pittore-filosofo
amante della cultura classica e delle teorie di Winckelmann. Anche Canova fu un
amante delle teorie classiche di quest’ultimo. Tra Gennaio e Febbraio del 1780, Canova fu ospite a
Napoli di Contarina Barbarigo e nella città partenopea ammirò i capolavori di Tiziano, ovvero la
collezione Farnese, e anche la cappella Sansevero, dove ammirò la scultura del
Cristo Velato, che tentò anche di acquistare. Sempre a Napoli, ammirò anche la
scultura della Pudicizia dello scultore Veneto Antonio Corradini, e visitò i
siti archeologici di Paestum, Pompei ed Ercolano, intensificando così la sua
apertura e il suo gusto verso l’antico. Tornato a Roma a giugno, Canova si fece
spedire la sua opera del Dedalo e Icaro in gesso, che fu accolta freddamente
dagli accademici romani: Roma era un ambiente molto competitivo e pieno di
rivalità, tanto che erano in molti a nutrire un sentimento d’invidia verso il
talento di Canova. Tra gli ammiratori del Dedalo e Icaro vi fu Gavin
Hamilton, un pittore scozzese che stringerà amicizia con Canova. Intanto Zulian
si era convinto che per Canova e la sua arte, sarebbe stato meglio stabilirsi
in maniera definitiva a Roma, così sollecitato dall’ambasciatore, Canova torna
a Venezia per chiudere la sua bottega lagunare e per ultimare l’opera raffigurante
il Poleni, per il Prato della valle a Padova. Tornato
a Roma a dicembre, Canova realizzò su commissione di Abbondio Rezzonico,
senatore, nipote del papa, l’Apollo che s’incorona, capolavoro di grande
caratura neoclassica, che fu prediletto rispetto alla Minerva Pacifica del
concorrente romano Giuseppe Angelini. L’opera che fu la prima “romana” di
Canova, segnò subito una “vittoria” per l’artista, rispetto ai competitivi e “invidiosi”
rivali romani. Nello stesso periodo, su suggerimento dell’amico Gavin
Hamilton, Canova lavorò alla realizzazione del gruppo scultoreo del Teseo
vincente sul Minotauro, opera conclusa nel 1783. Altro capolavoro neoclassico, il
Teseo vincente sul Minotauro, fu travolto da un enorme successo che arrivò non
solo dall’Italia, ma da tutto il mondo: spicca il virtuosismo tecnico con cui
Canova donò alla figura di Teseo una “tranquilla grandezza” e una “nobile
semplicità” che Winckelmann considerava qualità supreme dell’arte greca, che Canova
riuscì ad eguagliare e superare, proponendosi come il nuovo Fidia. Tra gli
estimatori più noti di questo capolavoro vi fu il critico d’arte Quatremère de Quincy. Il
successo incontrastato del Teseo vittorioso sul Minotauro, pone Canova al
centro della scena artistica a Roma, e lo riempiono di prestigiose commissioni,
arrivate da tutte le parti. La più importante arriva dal ricchissimo mercante
Carlo Giorgi, che doveva le sue fortune ai benefici del papa Clemente XIV. Così
viene commissionato al Canova il monumento funerario del papa, lavoro su cui
focalizzerà l’intera attenzione, complice anche della delusione amorosa con
Domenica Volpato, una giovane donna della quale si era innamorato. L’opera fu
completata in 4 anni, dal 1783 al 1784 ed è stata posta nella Basilica dei
Santi XII Apostoli di Roma. Il capolavoro valsero a Canova 10 mila scudi e lo
consacrarono come massimo artista del Neoclassicismo, superando in fama e prestigio,
già a quel tempo, di scultori come Bernini e Michelangelo. Il
successo riscosso dal sepolcro di Clemente XIV nel frattempo, sollecitò Don
Giovanni Abbondio Rezzonico e i suoi fratelli, cardinali Carlo e Giovanni
Battista, a commissionare al Canova il monumento funerario allo zio Clemente
XIII, per la basilica di San Pietro in Vaticano. Arduino Colasanti, nel vedere l'opera disse che si trattava di una figura vera che respira. Per
riposarsi dalle piogge di commissioni dalla quale fu travolto a Roma, Canova
soggiornò brevemente a Napoli per un mese, e qui arrivò un’altra prestigiosa
commissione da parte del colonnello inglese John Campbell, che lo incaricò di
realizzare il gruppo scultoreo di Amore e Psiche. La scultura è nota per essere
un’icona dell’arte universale di ogni tempo, nonché una delle più celebri sculture
al mondo e forse la più famosa di Canova, ritenuta un capolavoro assoluto dell’arte
universale. L’opera è caratterizzata da una bellezza ideale straordinaria, capace
di far rivivere lo splendore delle sculture antiche dell’antica Grecia, e valse
il soprannome di “Nuovo Fidia” all’artista. Il Nuovo Fidia, scelse di
rappresentare il gruppo scultoreo, nell’attimo tratto dalla favola dell’asino d’oro
di Apuleio. Canova incarna nell’arte, come nessun altro, la
perfezione che sta al di sopra delle passioni e delle debolezze umane. Nel
gruppo scultoreo di Amore e Psiche, Canova raggiunge il culmine di tale
concezione. L’opera è straordinaria, Canova ha lavorato il marmo in una maniera
eccellente da far sembrare i corpi leggerissimi, come se stessero fluttuando in
aria, piene di grazia ed eleganza, perfezione e idealizzazione, come fossero
una dolce e mistica sinfonia musicale. Le ali di Amore evocano questi dolci
effetti di trasparenza, mentre l’artista leviga le superfici per esaltare la
lucentezza. i corpi degli amanti tracciano due archi che si
intersecano nel punto centrale dell’abbraccio, formando una X morbida e sinuosa
che fa fluttuare l’opera nello spazio: il primo arco, in particolare, va dalla punta dell'ala destra di Amore e
a quella del piede, mentre il secondo parte sempre dall'ala e termina nel corpo
di Psiche. Il punto di intersezione tra queste due direttrici, che è anche
il punto focale della composizione, è sottolineato dal delicato abbraccio dei
due personaggi. Le braccia di Amore e Psiche, formando due cerchi intrecciati,
danno infatti vita a un tondo che incornicia i due volti quasi congiunti ed
accentua i pochi centimetri che dividono le loro labbra. La precisa levigatura delle superfici, fa scivolare la lucentezza in
modo da togliere ulteriore peso alle forme, facendole sembrare più leggere, quasi
come fossero delle dolci e fuggenti apparizioni, e questa è un’incredibile innovazione
del genio del Canova. Un’altra innovazione straordinaria del Nuovo Fidia è la
disposizione delle figure, in modo da avvolgersi a vicenda, creando un ritmo
crescente verso l’interno. Le ali spiegate di Amore si liberano con grazia verso
l’alto, sollevando il corpo abbandonato dell’amata: ciò imprime nell’insieme
una dolce e naturale leggerezza e una perfetta idealizzazione del bello, che fa
rivivere lo splendore delle antiche sculture greche, superandole, come mai
nessun altro scultore aveva mai fatto prima. Lo scultore realizza
straordinariamente nel marmo, la morbidezza e il calore della carne viva. L’opera,
che segue un andamento melodico, interpreta più di ogni altra i canoni del
Neoclassicismo ed è un capolavoro assoluto della storia dell’arte universale.
Se pensiamo anche al raffinato erotismo dinamico che avvolge tutta la composizione,
la scultura segna il passaggio dal Neoclassicismo al Romanticismo, che in
quegli anni si stava sviluppando in Germania, e colloca Canova all’olimpo di più
grande artista del neoclassicismo e di più grande scultore di tutti i tempi,
capace di eguagliare e superare lo splendore ideale delle antiche opere
classiche. Amore e Psiche, fu universalmente ammirata e lodata da illustre
personalità di tutte le parti del mondo, da John Keats a John Flaxman, fino
alla Corte Russa, dove l’imperatrice Caterina II invitò il Nuovo Fidia ad
artista ufficiale di Corte: Canova rifiutò, ma in segno di gratitudine realizzò
e donò un’altra versione di Amore e Psiche, quella che oggi è conservata all’Ermitage
di San Pietroburgo. Sono anni dove le commissioni per Canova si
moltiplicano, tanto che l’artista arrivò a dichiarare al Selva, nel 1796, che
se avesse tante mani, sarebbero tutte quante impegnate. Canova, che si era
fatto strada, conquistando il difficile e competitivo ambiente Romano,
conquistando un ambiente come la Basilica di San Pietro in Vaticano, superando
già a quel tempo la fama di un Bernini e un Michelangelo, e conquistando gli
apprezzamenti provenienti dalla Francia e dalla Russia, diede conferma, in
questo periodo, della sua divina capacità del “bello classico” con pregevoli
sculture: la sensibilità classica di Canova, quello stesso segno che egli imprime
alle opere, che siano in marmo o in gesso, la posa dei soggetti, la grazia e l’eleganza
delle forme e dei movimenti, e la calma idealizzata dei volti, hanno radici
molto profonde, a cui Canova attinge costantemente. Nella sua bottega, tra i
colpi di martello e scalpello, riecheggiano i versi di poeti classici che
Canova si fa leggere durante la lavorazione delle sculture, miti e cronache
antiche tessono attorno alle sue statue un mondo di poesie, che egli traduce in
materia. Per Canova non bisognava copiare gli antichi, bensì studiarli,
assimilarli e produrre qualcosa di nuovo. Per tutta la sua vita i più grandi
capolavori della scultura greca conservati nei palazzi romani, saranno modelli
da cui studiare ed imparare. Se con Venere e Adone, Canova viene consacrato
scultore della grazia, l’artista da prova di poter primeggiare anche in
tematiche più “cruenti” con straordinario dinamismo ideale, come nel Creugante
e Damosseno. Fino al momento dell’Adone e Venere, nascono dicerie da parte
delle invidiose accademie romane, che insinuano che lo scultore sia capace di
fare solo opere dolci, tenue e senza carattere. Durante il breve soggiorno a
Napoli, il Nuovo Fidia viene invitato a cena alla dimora del conte Don Gaetani,
uno dei maggiori collezionisti della città. In questa occasione il Conte sfida
l’artista, dicendogli di realizzare un’opera furiosa e drammatica, che metta a
tacere le invidiose e maliziose lingue romane. L’artista realizza così lo
straordinario e monumentale Ercole e Lica. L’episodio di Ercole e Lica è la
violentissima conclusione di uno dei miti più famosi dell’antichità. Il risultato è incredibilmente perfetto, tanto che l’opera
fu ammirata e lodata da qualsiasi personalità illustre, riuscendo a zittire gli
artisti romani, che stupiti, riconobbero anch’essi l’immensa e ineguagliabile grandezza
del Canova. Melchiorre Cesarotti lodò l’opera, affermando all’artista che è una
“tragedia sublime, e la penna di Euripide può invidiarla, a ragione del vostro
scalpello”, affermando come l’arte Canoviana, superi qualsiasi confronto con
gli scritti classici mitologici. La
Francia apprezzò l’opera, tanto da definirla simbolica, come la Francia che
schiacciasse la monarchia, distruggendola, ma il Nuovo Fidia negò categoricamente
che quest’opera avesse un fine ideologico, contrariamente alle opere pittoriche
di Jacques-Louis David. Le vicende
politiche di fine ‘700 irrompono in maniera significativa nella vita di Canova.
Nel 1796 le truppe rivoluzionarie guidate dal giovane Napoleone Bonaparte,
giungono in Italia per piegare le potenze monarchiche dell’antico regime. L’obiettivo
è quello di conquistare l’Italia militarmente, politicamente e culturalmente.
Quando Venezia perde l’indipendenza, Canova scrive all’amico Falier “Vedo l’Italia
tutta, anzi l’Europa tutta, talmente rovinosa, che se non fossi trattenuto da
tante cose che mi incatenano qui, sarei tentato di andare in America, perché mi
sento morire per il mio povero stato di Venezia che io tanto amo”. Dopo
Venezia, Napoleone conquista Roma. Le truppe saccheggiano i tesori della
Repubblica di Venezia, del Vaticano, depongono papa Pio VI e istaurano una Repubblica
di stampo rivoluzionario. Canova non riesce a reggere il confronto con la
devastante grandezza di questi eventi, dove la vita a Roma gli appare perversa
e inquietante. Quando i rivoluzionari francesi gli chiedono di giurare odio ai
sovrani, egli lascia la città con poche e tristi parole “Io non odio nessuno”.
Consegna lo studio all’amico Antonio d’Este e torna a Possagno. Nella sua città
natale, non avendo con sé il marmo, si dedicò alla pittura, dimostrandosi
capace anche in questa arte, e ad alcuni bozzetti. In questo periodo di
profondo turbamento, Canova dipinge il proprio autoritratto. Nel 1799 Canova decide di tornare nella sua Roma
per esercitare la sua arte. In seguito agli ultimi accordi tra la Francia e l’autorità
papale, con l’istituzione della Repubblica italiana, per qualche anno sembra
che le acque si siano calmate. I repubblicani commissionano a Canova un’opera
di forte impatto: Teseo in lotta con il centauro, commissionata dai
repubblicani italiani napoleonici per dedicarla a Napoleone. L’opera
rappresenta ancora una volta l’uomo che sconfigge la bestia. La
grandiosa opera, dotata di eccezionale dinamismo, fu molto lodata, tra gli
altri, da Isabella Teotochi Albrizzi che affermò “Superba mole, meraviglia a vedersi, il gruppo
colossale di Teseo vincitore del Centauro arresta i nostri sguardi, e desta la
nostra ammirazione”. Canova guadagnò
dall’opera 10.000 zecchini d’oro e fu acquistata dall’Imperatore Francesco I d’Austria
per il Tempio di Teseo, ma nel 1891 venne trasferita al Museo Kunsthistorisches
di Vienna, dove risiede tutt’oggi. In quel tempo Antonio d’Este ricorda un Canova che
desidera evadere dalla drammaticità del tempo e si affligge nel vedere la pace
d’Italia turbata, e ciò gli da motivo di modellare le danzatrici, che essendo
di loro natura allegre, si contrapponevano alla malinconia. La serie delle
Danzatrici, testimonia il desiderio giocoso e creativo dello scultore, che rievoca
figure ispirate ai dipinti parietali di Napoli ed Ercolano. La Danzatrice col
dito al mento è contemporanea alla deportazione di papa Pio VII e alla malattia
di Luigia Giuli, governante di Canova. Canova, scrive che realizzò l’opera in
uno stato di frustrazione che lui stesso attribuisce alle vicende del mondo. Le
tre Danzatrici sono rappresentate gioiose e allegre mentre danzano e ciò che
colpisce è la leggerezza dei loro corpi, scolpiti notevolmente da Canova, con
un’eccellente levigatura che conferisce quella leggerezza e sinuosità che
ricorda Amore e Psiche. Dotate di bellezze ideali, le Danzatrici sembrano
sollevarsi da terra e fluttuano, sfidando le leggi della gravità e confermano l’abilità
ineguagliabile di Canova, di animare in modo stratosferico le figure. La terza, Danzatrice con i
cembali, fu eseguita nel 1815 per l’ambasciatore russo a Vienna, Andrej
Razumovskij, ciò dimostra come Canova sia stato, come lo fu Tiziano nel ‘500, l’artista
più apprezzato e ricercato dalle più importanti corti europee, dalla Russia
alla Francia, passando per l’Austria, i papi e l’Italia. Leopoldo Cicognara,
che nel 1808 era diventato presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia,
diceva che, nelle Danzatrici, Canova era stato “dalle Grazie unicamente
ispirato”. Eppure notava nelle tre sculture alcune diversità che le
rendevano uniche: la prima danzatrice esprimeva “tutta la forza della gioventù
più vigorosa”, sospesa sulle punte; quella con il dito al mento presentava “la
più felice espressione della grazia”, favorita dallo sviluppo compositivo
elicoidale, infine l’ultima, rappresentata nel salto, “assomigliava a una
baccante”. Tuttavia, anche se profondamente triste per gli
avvenimenti del mondo, Canova seppe affrontare la sua epoca storica e l’arte
classica gli servì come lente d’ingrandimento per osservare questo particolare
momento storico e rappresentarne i protagonisti. Uno di questi personaggi è
sicuramente Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, sposa Camillo Borghese,
conquistando una posizione privilegiata nella nobiltà romana. Canova la
rappresenta come Venere Vincitrice, ispirandosi alla Venere di Urbino di Tiziano
e alla Venere Dormiente di Giorgione. Canova immortala così la bellezza e l’eleganza
della Dea vincitrice, nella scultura della sorella dell’imperatore francese. Il
marito Camillo, teneva questa bellissima scultura nella sua camera da letto perché
non era permesso vedere una figura nuda o semi nuda come lo è Paolina, se la
persona era ancora vivente, tant’è vero che perfino il papa scriverà a Paolina
Borghese, dicendo di non fare vedere quell’opera d’arte. I custodi della villa a
fronte di qualche soldino, permettevano al pubblico di entrare nella camera da
letto per ammirare l’opera, e Camillo capì che era il caso di istituire il
ticket per aprire il museo, così da quel momento nasce questa realtà singolare.
Oggi chi va in Galleria Borghese, a Roma, viene catturato prima di tutto dall’attenzione
di Paolina Borghese di Canova. Mentre il mondo intero si piega al volere di Napoleone, Canova non
si lascia intimidire e riesce a far valere le sue necessità di uomo e artista.
L’imperatore gli commissiona il proprio ritratto in scultura. Della sua
diplomazia, Canova ne fece un mestiere, al punto che quando fu invitato da
Napoleone a Parigi, per realizzare il ritratto, il Nuovo Fidia non esitò a
dialogare con l’Imperatore in una sorta di dialogo di stimoli e provocazioni in
cui Canova disse a Napoleone che è fondamentale per una persona essere liberi: quando
Napoleone cercherà di convincerlo a rimanere a fare il direttore del museo
universale che lui stesso stava realizzando, con le opere rubate in Italia e in
altri paesi Europei, Canova risponderà “assolutamente no, io ho capito qui
che gli onori che mi vuole dare, mi costringerebbero a sottostare a degli obblighi,
io amo l’Italia, la mia casa, la mia famiglia, i miei amici e Roma mi sta
aspettando”. Nei suoi diari l’artista scrisse precisamente “Lo
ringraziai degli onori che mi aveva fatto di volermi presso di sé, annoverando
quante cose stavo facendo per lui, per la sua famiglia e altri e gli chiedevo
la grazia di presto di tornarmene a casa. Mi disse che la capitale è questa
(Parigi) e che qui sarei stato bene, io gli aggiunsi che egli era il mio
sovrano, padrone della vita mia, ma che se voleva che questa mia vita s’impiegasse
per lui non vi era altro che farmi ritornare a Roma”. Mentre affida allo
scultore il nobile compito di ritrarlo, Napoleone ha in mente il dipinto di
Jacques-Louis David, che lo raffigura a cavallo mentre attraversa le Alpi, al
passo del San Bernardo, solenne, nelle vesti di Imperatore. Canova lo
sorprende. Il Napoleone Canoviano è ispirato al Marte pacificatore, che imponente
regge gli strumenti del potere. Secondo i canoni dell’arte classica, lo
realizza nudo, e quando il marmo arriva a Parigi, Napoleone lo nasconde all’interno
del palazzo del Louvre. “Nudo in piazza non ci andrò mai” dirà Napoleone
ed è così che infine quel capolavoro verrà venduto dai francesi quando Napoleone
verrà distrutto, e sarà comprato dagli inglesi che lo doneranno a Wellington,
il generale che ha sconfitto Napoleone Bonaparte, nella celebre battaglia di Waterloo.
Canova realizzò il Napoleone come Marte pacificatore, nella pienezza del canone
dell’antichità classica di bellezza ideale: l’eroe è in piedi, nudo e con solo
la clamide militare appoggiata sulla spalla sinistra. Con il braccio sinistro
sorregge l’asta, mentre con il destro regge un globo dorato invaso da una
vittoria alata. L’intera composizione è sorretta da un tronco d’albero. La
critica ha fortemente lodato questo capolavoro, esaltandone l’innata capacità di
Canova nella perfezione delle forme, nell’eguagliare e superare l’antichità
classica e nelle perfette proporzioni del corpo, in pieno modello con il motto che
proprio Canova disse a Napoleone “il linguaggio sublime dello statuario è il nudo”: la bellezza ideale
del corpo umano non può essere invasa da abiti, ma dev’essere caratterizzata
dalla perfetta rispondenza di tutte le parti fra loro e nella scelta armonica
delle migliori. In quegli stessi
decenni tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, un’altra grande
rivoluzione cambia il mondo: la nascita degli Stati Uniti d’America. Ben prima
di divenire il terzo presidente della federazione, Thomas Jefferson trascorre
lunghi anni a Parigi, durante la rivoluzione francese. Elabora e condivide con
i rivoluzionari un’ideale politico che sarà alla base della concezione
democratica della nuova nazione. Inoltre viaggiando in Francia e nell’Italia
settentrionale, Jefferson scopre la raffinatezza europea, e in particolare
italiana. Rimasto da allora un collezionista d’arte, è lui nel 1818 a dare
direttive per la realizzazione di un monumento di fondamentale importanza: una
statua di George Washington. Per gli americani Washington non è solo un
presidente, è una guida, una figura fondamentale e per Jefferson, il padre
della patria non può che essere ritratto dal più grande scultore di tutti i
tempi: Antonio Canova, i cui lavori eguagliano e superano le migliori opere
antiche. Canova realizza ben 4 modelli in gesso, facendosi guidare dalle parole
di Carlo Botta, che gli permettono di scoprire in Washington, un uomo che fu
soldato e statista, ed ebbe il coraggio e l’onestà di rinunciare al ruolo per
tornare ad essere un uomo libero. Washington allora, rizzatosi in piè con
incredibile maestà, incominciò “ i grandi avvenimenti, dai quali la rinunziazione
mia dipendeva, avendo finalmente avuto luogo o io ora ho l’onore di
rappresentarmi al congresso per ritirarmi dai servizi della patria, felice per
la nostra indipendenza io rassegno al mio mandato”. George Washington
stabilirà che il potere di una nazione non può essere nelle mani di una sola
persona. Per lui è giusto realizzare dei cambiamenti e si ritirerà a vita
privata e farà il contadino, tant’è vero che aveva una distilleria
importantissima. Si ritirerà nelle sue proprietà e Canova lo rappresentò
vestito come un generale dell’esercito romano, proprio come Cincinnato che alla
fine della vita si ritira a fare il contadino e ritornerà ad essere una persona
libera, fondamentale concetto per Canova. Il monumento oggi è determinante per
questo concetto. Con quest’opera e con la propria arte, Canova dimostra di aver
compreso i cambiamenti epocali del suo tempo e riesce a rappresentarne la
natura: se Washington è seduto intento a scrivere l’annuncio di addio al
potere, Napoleone è invece in piedi, regge lo scettro e la vittoria alata,
simbolo della conquista e del mondo intero. Sono rappresentazioni di due concetti
contrastanti e di opposto potere politico, rappresentano due visioni del mondo
al crocevia della storia. La scultura in marmo di Washington andò purtroppo
perduta, poiché fu distrutta da un incendio nel 1831, che distrusse anche l’edificio
del Senato della Carolina del Nord, dove risiedeva quella che era l’unica opera
del Canova realizzata per gli Stati Uniti. Oggi a Possagno al museo Canoviano,
è possibile vedere il modello in gesso e la contrapposizione con Napoleone: da
una parte Napoleone, l’ultimo imperatore dell’altra Washington, il primo
presidente di una democrazia moderna, il portavoce che deriva da un mandato del
popolo, di un uomo la cui grandezza sta nella rinuncia a tale potere. Canova fu
così l’unico scultore italiano a lavorare direttamente per gli Stati Uniti e questo
è importantissimo perché ci dice l’internazionalità di questo scultore (già a
lavoro presso i papi, gli Asburgo, e per le corti Francesi e Russe) che è stato
neoclassico e il più grande protagonista della sua epoca e di quel momento
particolare, perché è il momento del Congresso di Vienna, è il momento in cui
Napoleone ha finito la sua corsa ed è il momento in cui grazie a Canova, l’arte
italiana continuerà ad essere esemplare per il mondo. Nel 1805 papa Pio VII, premia Canova per il
successo dei suoi rapporti internazionali, nominandolo presidente della
commissione pontificia per le Belle Arti. Il compito del Nuovo Fidia è quello
di valutare tutte le opere d’arte che gli scavi portano alla luce, approvando o
meno eventuali vendite ed esportazioni, facendo dello scultore il primo sovrintendente
della storia: questo è un momento chiave della storia dell’arte, su cui si
baseranno tutte le leggi successive della conservazione del patrimonio artistico-culturale.
Il valore di un’opera è legato all’appartenenza della sua nazione, e per questo
essa deve rimanere nel suo territorio. Questo vale per l’arte della Grecia
classica, dell’antica Roma, così come per quella contemporanea. Questo ruolo,
contribuisce ancora di più a rendere la sua bottega di Roma il punto di
riferimento per il Grand Tour ottocentesco. Dalle stanze poderose di Via delle
Colonnette, passano centinaia di ammiratori illustri e di acquirenti e la fama di
Canova, già immensa, si consolida in tutto il mondo. Divenuto ormai il
personaggio di spicco della cultura di inizio Ottocento, alterna i periodi di
lavorazione a Roma, con svariati soggiorni nelle corti di tutta Europa,
ricordando l’importanza che ebbe Tiziano nel Rinascimento. In seguito a un viaggio
a Londra, Canova riceve un’importante e prestigiosa commissione dal Re d’Inghilterra
Giorgio VI. L’opera è quella di Marte e Venere. Ciò che colpisce e che
sottolinea la modernità delle tecniche di produzione artistiche del Canova, è
la richiesta che il Re fece allo scultore: in cambio di una paga più alta,
promettere di non riprodurre mai una seconda copia in marmo derivante dal
modello. Il genio universale della scultura, era infatti ormai noto per l’incredibile
capacità di riprodurre più esemplari di un’opera, partendo da una singola opera
in gesso. Le due figure si
prestano a celebrare allegoricamente la pace finalmente restituita all’Europa
intera, con la fine dell'epopea napoleonica e all’indomani del congresso di
Vienna. “Come la profondità del mare, che resta sempre immobile
per quanto agitata sia la superfice, l’espressione delle figure greche per
quanto agitate da passioni, mostrano sempre un’anima grande e posata”
diceva Winckelmann. Non c’è affermazione più azzeccata e completa per
descrivere un altro celebre capolavoro del Canova, considerato un caposaldo
della scultura universale: Le Tre Grazie. Capolavoro di inestimabile pregevole
fattura, fu lodato da illustri personaggi, tra cui il duca inglese di Bedford,
John Russel, che colpito e invaghito dalla bellezza di quest’opera marmorea,
tentò di acquistarla ma il tentativo fu vano. L’opera infatti fu promessa all’amica
Giuseppina di Beauhamais, la prima moglie di Napoleone e colei che suggerì all’artista
di imbattersi in questa tematica scultorea. Tuttavia al Duca, Canova disse che
poteva realizzarne un’altra versione. Così fu, Canova si recherà due anni dopo
a Londra e avrà modo di vedere il luogo in cui sarebbero state collocate le Tre
Grazie. Oggi così esistono due versioni, la prima in origine nelle collezioni
di Beauhamais e oggi all’Ermitage di San Pietroburgo e la seconda oggi è
conservata al Victoria and Albert Museum di Londra. Canova con quest’opera
conferma la sua capacità nella scultura di poter rappresentare i principi di
quiete grandezza attribuiti all’arte classica, che supererà con la stessa
grazia ed eleganza dei suoi lavori. Il principio estetico perseguito dal Canova, d'altronde, è riflesso in
maniera quasi subliminale nell'etimologia stessa del termine «grazia», dal
latino gratia a sua volta derivato da gratus «gradito;
riconoscente». In quest’opera
il più grande scultore di tutti i tempi si diverte a mostrare il suo incredibile
virtuosismo tecnico come mai nessun altro fece prima: oltre che nella consistenza
quasi tattile del velo marmoreo, il virtuosismo di Canova si manifesta anche
nelle fluenti capigliature delle tre Grazie, che presentano tutte un'elaborata
acconciatura raccolta in nodi sulla nuca e in ciocche minutamente arricciolate,
e nell'applicazione di una patina per imitare il calore rosato dell'incarnato. Proprio
per la sua fama di più grande scultore di ogni epoca e per la sua incredibile
abilità che lo pone al livello massimo della scultura, arte dove fu il maestro
indiscusso, venne scelto per la realizzazione della Venere Italica di Firenze,
per compensare l’assenza del furto dei francesi della Venere de’ Medici, antica
statua del I secolo a.C tornata comunque a Firenze nel 1815 con la
Restaurazione. Firenze e l’Italia così guadagnarono in un colpo sia la Venere
de’ Medici che la Venere Italica del Canova, che riuscì a superare di gran
lunga il confronto con l’opera classica della Venere de’Medici: Canova reinterpreta
l’opera a modo suo e riesce a rielaborarla senza scalfirne l’identità profonda,
anzi esaltandola. L’opera Canoviana spicca per la tenerezza della carne
marmorea, per il suo dolce fluttuare nello spazio, per la sua leggerezza e
sensualità raffinata e per la delicatezza delle sfumature data mediante l’articolazione
libera del corpo. Le forme perfette della Dea sono esaltate dallo scultore con
l’ingegnoso utilizzo di un impasto morbido e rosato per esaltarne al meglio la
bellezza ideale, nell’atto di nascondersi dietro a un telo, probabilmente
sorpresa dall’arrivo di qualcuno, reincarnando il tema della Venus Pudica.La sua tecnica unica e la capacità di realizzare l'illusione della carne
umana è stata chiamata "tocco diretto". Alla fine Canova avrebbe
iniziato a esporre le sue opere in studio a lume di candela. Incuriosito dagli effetti
della luce e dell'ombra delle candele sulla superficie in marmo traslucido,
Canova iniziò presto ad ammorbidire ulteriormente le transizioni tra le varie
parti della statua e strofinarle con strumenti speciali e pietra pomice, a
volte per settimane o mesi. Alla fine avrebbe applicato un composto sconosciuto
di patina sulla carne della scultura per alleggerire il tono della pelle.
Questo processo è stato chiamato "ultimo tocco". Il superamento della
Venere Italica del Canova e la vittoria del confronto con la Venere Medicea è
testimoniata anche dalle affermazioni di due personaggi illustri: il critico d’arte
Edward Lucie-Smith disse a riguardo che “ l'espressione artistica del
pudore e della vulnerabilità anche sessuale è comunicata meglio che sull'originale Venere de' Medici”, mentre
Ugo Foscolo confrontandola con quella Medicea, dirà di quest’ultima che "Lusinga il paradiso in questa valle di
lacrime", volendo esprimere con queste parole la superiorità della
statua del Canova, questa dea più reale, quindi più desiderabile. La
Venere Medicea non è il solo capolavoro che Napoleone ha rubato all’Italia.
Conosciuti come i più grandi furti della storia dell’arte, le spoliazioni
napoleoniche, provocarono anche la dispersione e distruzione di molte opere d’arte:
è una tragedia che ha lasciato nell’orgoglio degli artisti italiani una ferita
che pareva insanabile. Canova è il personaggio che viene incaricato da papa Pio
VII, e mandato a Parigi, a convincere il nuovo sovrano Luigi XVIII a restituire
quello che Napoleone aveva portato via dall’Italia: ci sono capolavori che
devono tornare al loro posto d’origine, perché nati esclusivamente per essere
collocati in quel luogo e quindi il Lacoonte deve tornare a Roma, i Tiziano
devono tornare a Venezia, i Raffaello devono tornare a Roma, i cavalli di san
Marco devono tornare a Venezia e così anche tutte le altre opere d’arte. Era
stato portato via tutto e Canova è l’eroe che restituisce all’Italia ciò che
era stato rubato. Spesso si ricorda Napoleone come lo spregevole ladro di
tesori, ma ci si dimentica che fu Canova a restituire tutti i capolavori
sottratti all’Italia. Contemporaneo a Canova, Foscolo, nei Sepolcri, scrive del
bisogno dell’uomo di lasciare una testimonianza del suo valore, consapevole un
giorno di dover lasciare questo mondo. Canova in quanto miglior artista e interprete
del proprio tempo, è chiamato a confrontarsi con la morte e con il desiderio
dell’uomo di essere ricordato. Canova rimase particolarmente scosso dalla morte
di papa Pio VI. L’artista era ancora a Roma quando nel 1798 le truppe francesi
danno l’ordine dell’occupazione della città: il pontefice viene trascinato a
forza fuori dalle mura cittadine e costretto all’esilio deve spostarsi
continuamente finché giunge in Francia, dove si ammala gravemente e nel 1799
muore. L’anno successivo venne sepolto come un comune cittadino in un cimitero
civico. Canova gli dedica un cenotafio per rendere giustizia alla memoria di
questo papa morto in terra straniera, il cui corpo è rimasto a lungo insepolto. Nel
1803 la contessa Luisa, principessa di Stolberg, commissiona a Canova il
monumento funebre in ricordo del suo compagno, il drammaturgo Vittorio Alfieri.
Piemontese, aveva scelto come seconda patria Firenze e il monumento, completato
nel 1810, viene collocato nella chiesa di Santa Croce, insieme ad altri
italiani illustri come Galileo e Michelangelo. La figura dominante dell’opera è
una donna, allegoria dell’Italia, triste e dolente per la perdita di uno dei
suoi più stimati figli. Stendhal, lodò l’opera e alla vista della tomba scrisse
da Firenze “Finché esisterà Canova, si potrà comprare l’immortalità”. Data la risonanza dell’opera, per la sua
collocazione venne individuato un luogo di grande prestigio nella navata destra
tra il sepolcro di Michelangelo e quello di Machiavelli, già occupato da monumenti
preesistenti che fu necessario rimuovere. Il monumento è una sintesi mirabile
tra le forme perfette, tratte dall’antico, delle vesti e delle decorazioni, e
la celebrazione dell’artista, con la raffigurazione della patria afflitta che
rende omaggio alla tomba del figlio illustre. Questo monumentale capolavoro di
grande impatto visivo ed emotivo, corrisponde alla grandezza e alla fierezza di
questo sommo poeta. Lo scrittore francese Stendhal, che come tutti ammira
Canova, commenta e loda un altro capolavoro dello scultore, affermando che si
tratti della “La prima delle tombe esistenti”: lo scrittore si riferisce
alla tomba realizzata per Maria Cristina d’Austria, come la più bella tomba del
mondo. L’opera venne commissionata a Canova, dal marito della donna, Alberto di
Sassonia. Il principe vuole rendere omaggio al ricordo della donna amata e alle
caratteristiche che ne fanno la sua consorte in vita, attraverso un complesso
di personaggi allegorici. Il modo in cui Canova propone e innova il tema
della morte, è un'ulteriore dimostrazione di quanto egli fosse intimamente
vicino ai canoni neoclassici. A essere scolpito nel marmo, infatti, non è il
momento culminante in cui la morte è appena sopraggiunta, bensì il momento in
cui la morte è ancora in divenire, e chiama a sé tutti i componenti del corteo
funebre che, avviandosi inesorabilmente verso il buio ingresso al centro della
piramide, sanno di non potersi sottrarre al suo invito. Afflitto
dalla dissenteria e dalle croniche e gravi condizioni di debolezze di stomaco
causate dalla sua professione di scultore e iniziate già quando scolpì il
Monumento a papa Clemente XIII, Canova avvertì un forte tracollo fisico già
nelle sue ultime commissioni. Si ritirò a Possagno il 7 settembre 1822, nella
speranza di trarne giovamento e riprendersi, ma tuttavia il genio più grande
che la scultura abbia mai conosciuto morì a Venezia, il 18 Ottobre 1822, nella
casa dell’amico Florian, vicino piazza san Marco. Il Nuovo Fidia ebbe due
funerali: il primo si svolse a Possagno il 25 Ottobre, dove vi fu l’adorazione
funebre tenuta dal vescovo di Ceneda, mentre il secondo funerale fu svolto
nella sua Roma, dove la città capitolina celebrò il suo grandissimo sommo
artista in una commovente commemorazione funebre, tenutasi il 31 Gennaio 1823,
dove una gremita folla di personaggi illustri diedero l’addio al genio più
grande della scultura di ogni tempo, nella chiesa dei Santissimi Apostoli. Tra
questi vi fu anche Leopardi, oltre che il Senato di Roma, che espresse la sua
compiacenza per aver salutato il “Gran Canova” come lui stesso ricorda. Il
cuore dell’artista fu sepolto alla Basilica dei Frari nel monumento in origine
progettato del Tiziano, mentre il
corpo è sepolto nel tempio da lui stesso ideato a Possagno, nella sua città natale.
Il Tempio Canoviano di Possagno rappresenta l’ultima opera dell’artista, dove
lo scultore esercitò anche la professione di architetto. L’artista dedicò così
la sua ultima opera a Possagno, come estremo lascito al mondo e alla sua terra
natale, edificando a proprie spese un tempio a pianta circolare, con un pronao
a colonne doriche, ispirato al Pantheon e al Partenone di Atene. Il Tempio è
una chiesa collocata ai piedi del monte dominante, la Val Cavasia. Canova pose
la prima pietra dell’edificazione l’11 Luglio 1818, condita da una festosa
cerimonia, ma l’artista non vide mai l’ultimazione della sua opera, che sarà
completata solamente nel 1830, in maniera fedele al suo progetto
architettonico. La sua arte e la sua vita ci permettono di catalogarlo come un genio assoluto, come il più grande scultore di tutti i tempi, capace di trasformare un materialo duro, freddo ed inerte come il marmo, in carne viva e sangue pulsante, in tenerezza e grazia, riuscendo ad eguagliare e superare l'antica statuaria greca, considerata, fino a prima di lui, la più alta testimonianza dell'arte scultorea. Canova fu anche un abilissimo pittore ed un grande architetto, ma soprattutto un grandissimo diplomatico, capace di riportare in Italia oltre 249 capolavori rubati dai francesi, nonché il primo sovrintendente della storia, e proprio grazie a lui oggi ci è ben chiaro il concetto di tutela dei beni culturali e del patrimonio artistico e culturale. Tutti questi motivi, e la sua internazionalità, ci permettono di poterlo definire come il più importante ed influente artista italiano della storia, a pari merito con Tiziano ed Andrea Palladio.
Lo stile
A
Possagno si trova pure il Museo di Canova, che comprende la biblioteca, la casa
natale dello scultore e la sua Gipsoteca, ovvero la raccolta dei gessi che l’artista
preparava per poi realizzare i modelli in marmo. Tra le sculture in gesso e i
bozzetti è possibile ammirare la tecnica scultorea geniale del più grande
artista della scultura di ogni tempo. Qui vi sono le anime custodite nei gessi
che un uomo ha pazientemente ed egregiamente modellato e lavorato nel segno di
quella perfezione e di quella bellezza capace di innalzare gli uomini oltre i
confini di ciò che è terreno, di diventare un’arma per affrontare il presente e
i suoi momenti oscuri; una bellezza che ha raggiunto e ancora incanta il mondo
intero, poiché l’arte di Canova è divina. In questo luogo sono conservati anche i bozzetti in terracotta e creta:
lavori di piccole dimensioni di cui l’artista si serviva nelle prime fasi della
realizzazione di una scultura, per verificare come i disegni, che aveva fatto
sulla carta, prendessero vita nello spazio. Quella Canoviana è la più grande gipsoteca
monografica al mondo. In origine tutti questi gessi erano all’interno
della bottega del maestro a Roma. Nella città capitolina tuttavia, l’ambiente
era molto competitivo e ricco d’invida, tanto che in molti provarono a copiare
i gessi del Canova, poiché visibili nella sua bottega, in marmo, provando a
generare un proprio profitto economico. Le opere del Canova, di inestimabile bellezza,
valore e capacità innovativa, erano soggette così a plagi, da parte degli
artisti romani, allora il Nuovo Fidia decise di farle trasferire tutte a
Possagno, dove nessuno poteva vederle ne copiarle e dove sono custodite in
questa gipsoteca dal 1832, e fu fondata da Giovanni Battista Sartori,
fratellastro dello scultore. Ma come nasceva un’opera del Canova? In primis,
come testimoniato dai suoi scritti, l’artista effettuava un disegno dell’opera,
un vero e proprio progetto seguito da un piccolo bozzetto in creta.
Successivamente questa statua veniva suddivisa in varie zone, ad esempio il
busto lo si faceva a grandezza definitiva e naturale in argilla che veniva
attraversato da lamelle in ottone o in rame per calcolare dove doveva essere
collocato il gesso. All’interno del gesso veniva applicato un sapone che faceva
il modo che il gesso colato non si appiccicasse troppo e usciva fuori il
modello di gesso dell’argilla iniziale. Canova procedeva a lisciare il gesso
per togliere tutte le sbavature e il modello di gesso veniva rivestito di puntini
di bronzo che avevano la funzione di essere utilizzati per prendere le distanze
da trasferire in un blocco di marmo, mediante l’uso di un suo personalissimo
strumento. Arrivando al momento del marmo, Canova si munisce di raspe, pietra
pomice, paglia e fieno per lisciare completamente la superfice e per tradurre
il marmo in vera carne, come lui amava sottolineare. Canova si servì anche di
un altro strumento, un trapano, per dare vita ai suoi capolavori, ma che
purtroppo al lungo andare gli causarono i problemi di salute che lo portarono
alla morte. Questo trapano lo utilizzava poggiandolo sullo sterno, facendo forza
col suo corpo e faceva ruotare la punta tramite l’uso di maniglie per riuscire
a penetrare nella profondità. Purtroppo con il passare del tempo, il trapano
causerà un’occlusione allo stomaco del Nuovo Fidia che non gli permetterà di
mangiare, fino a morire il 13 Ottobre 1822 all’età di 65 anni. L’intervento
chiave di Canova emergeva nell’ultima mano ovvero la fase fondamentale
del processo creativo. Nella Storia della scultura Leopoldo Cicognara scrisse: “L’ultima mano […] forma il più
interessante dell’arte, e precisamente ciò che spinge l’opera al suo più
squisito perfezionamento, segnando l’ultima linea impermeabile che in questa
estrema superficie sublimemente nasconde il più alto magistero, e dopo la bontà
del concetto forma la vera eccellenza del lavoro.” Il metodo di lavoro di
Canova fu ricordato anche dal pittore protagonista del Romanticismo, Hayez, che
nelle sue Memorie scrisse “Il Canova faceva in creta il suo modello; poi
gettatolo in gesso, affidava il blocco a' suoi giovani studenti perché lo
sbozzassero e allora cominciava l'opera del gran maestro. [...] Essi portavano
le opere del maestro a tal grado di finitezza che sì sarebbero dette terminate:
ma dovevano lasciarvi ancora una piccola grossezza di marmo, la quale era poi
lavorata da Canova più o meno secondo quello che questo illustre artista
credeva dover fare. Lo studio si componeva di molti locali, tutti pieni di
modelli e di statue, e qui era permessa a tutti l'entrata. Il Canova aveva una
camera appartata, chiusa ai visitatori, nella quale non entravano che coloro
che avessero ottenuto uno speciale permesso. Egli indossava una specie di veste
da camera, portava sulla testa un berretto di carta: teneva sempre in mano il
martello e lo scalpello anche quando riceveva le visite; parlava lavorando, e
di tratto interrompeva il lavoro, rivolgendosi alle persone con cui discorreva”.
Come emerge dal resoconto dell'Hayez, la quantità e la qualità delle opere di
Canova richiedevano notevoli doti di organizzazione e progettazione. Prima di
eseguire materialmente l'opera, Canova esternava il proprio progetto su carta
(o, talvolta, su tela) mediante l'esecuzione di rapidi schizzi e appunti, per
poi correggere l'idea primitiva mediante la preparazione di piccoli prototipi
preparatori in argilla, mezzo progettuale certamente più affine allo spirito
canoviano. Quest'ultima operazione veniva svolta facendo ricorso a uno scheletro
portante composto da un'asta in ferro, alta quanto la scultura da eseguire,
connessa a sua volta a delle piccole asticelle metalliche munite alle estremità
di crocette di legno: questa metodologia, come osservato dallo stesso Canova,
consentiva «di far reggere la creta anche in macchine grandi assai, e in figure
fuori di piombo» e di effettuare pertanto uno studio più approfondito, con il
quale era possibile valutare meglio le proporzioni, le qualità luminose e
generalmente la resa generale dell'opera. È lo stesso Canova a parlarcene: “L'avversione
che ho sempre avuta al modo di lavorare al gesso o sia in stucco, conoscendo
dimostrativamente che il lavoro in quella materia riesce sempre duro e
stentato, questo appunto mi ha fatto risolvere, sino da' miei primi anni, ad
attaccarmi alla creta. E difatti ho avuto la temerarietà d'intraprendere i
modelli delle statue del Monumento Ganganelli, della stessa grandezza: cosa non
più accostumata in Roma prima di quell'epoca, mentre tutto lavoravansi nello
stucco, quando dovevano fare un modello poco più grande della metà del vero”.
Le fasi preparatorie, delegate all'ampio concorso di collaboratori al servizio
di Canova, erano seguite dalla traduzione dell'opera in marmo, attuata con una
tecnica metallurgica detta della «forma persa»: questa consisteva nell'eseguire
un modello in creta a grandezza naturale dell'opera che si intendeva eseguire,
per poi applicarvi uno strato di gesso bianco, così da creare una «matrice» che
veniva infine distrutta. In questo modo, dopo aver ottenuto il modello e aver fissato
i punti chiave, si poteva procedere con la sbozzatura del marmo: era dopo
quest'ultima operazione che ai vari artisti della bottega subentrava il Canova,
al quale era riservata una fase fondamentale della gestazione dell'opera,
quella propriamente detta «dell'ultima mano». Il Canova si preoccupava in
particolare di eliminare le imperfezioni residue e di rifinire l'opera con gli
ultimi e più decisivi ritocchi: seguiva, infine, l'intervento del lucidatore,
che rendeva lucide le superfici conferendo loro una diafana lucentezza. Famosa
l'abitudine di Canova di applicare sulle parti epidermiche dell'opera una
speciale patina, così da simulare il colore dell'incarnato e dare alle proprie
statue una parvenza di vita. È interessante notare che,
secondo il Canova, la gestazione di un'opera si articolava in due momenti
principali: la fase iniziale dell'ideazione, e quella finale dove l'artista
apporta gli ultimi interventi. È così che il processo creativo si risolve in un
fenomeno di sublimazione, dove dalla folgorazione intuitiva iniziale,
violenta e improvvisa, si arrivava alla contemplazione della forma pura finale:
questo percorso in termini filosofici si traduce nella transizione dal piano
dell'io empirico a quello dell'io trascendentale. Di seguito riportiamo un
commento di Giulio Carlo Argan: “la
forma non è la rappresentazione (e cioè la proiezione o il «doppio») della
cosa, ma è la cosa stessa sublimata, trasposta dal piano dell’esperienza
sensoria a quello del pensiero. Perciò può dirsi che Canova ha compiuto
nell’arte il medesimo trapasso dal sensismo all’idealismo che, in filosofia, ha
compiuto Kant o, per la letteratura, Goethe e, per la musica, Beethoven”.
Canova in 48 anni di carriera artistica, fu un instancabile lavoratore,
lasciando oltre 180 opere scultoree, 22 dipinti, un grandissimo numero di studi,
trattati, disegni, bozzetti e l’opera architettonica del Tempio. Fu
riconosciuto già nel suo tempo come Nuovo Fidia, come il maggior esponente dell’arte
del Neoclassicismo e già in vita superò la fama di scultori precedenti come
Michelangelo e Bernini. La sua arte fu influente per tutti gli artisti del
tempo e successivi e fu ammirata e lodata dai tanti personaggi illustri, come
Pietro Giordani, che sostenne che con le opere Canoviane, la scultura del mondo
aveva raggiunto il maggior splendore di sempre. Stendhal lodò l’istintività del
suo genio e tra gli artisti, a lui contemporanei, che maggiormente furono influenzati
dall’arte Canoviana si ricordano Antoine-Denis Chaudet, John Flaxman, Richard Westmacott,
Joseph Chinard. L'arte canoviana fu assai
apprezzata anche durante il Romanticismo, specialmente
in Italia, dove fu in grado di accendere l'orgoglio nazionale, a tal punto che
durante l'epopea risorgimentale egli iniziò ad esser ritenuto il genio tutelare
della nazione. L’arte del Canova fu fondamentale anche nella metà del Novecento,
soprattutto per storici e critici d’arte come Hugh Honour e Mario Praz, che definirono
il Canova, non solo come il miglior artista Neoclassico, ma come personaggio di
trait d’union tra il mondo antico e quello contemporaneo. Canova ebbe il
grande merito artistico, più di qualsiasi altro scultore, di far rivivere,
nelle sue opere, l’antica bellezza delle statue greche, ma soprattutto la
grazia intesa come una qualità, che solo attraverso il controllo della ragione
può trasformare gli aspetti leggiadri, e sottilmente sensuali, in un’idealità
che solo l’artista può rappresentare evitando le violente passioni e i gesti
esasperati. Le sculture di Canova sono realizzate in marmo bianco e con un
modellato armonioso ed estremamente levigato. Si presentano come oggetti puri
ed incontaminati secondo i principi del classicismo più puro: oggetti di una
bellezza ideale, universale ed eterna. Le anatomie sono perfette, i gesti
misurati, le psicologie meditative e silenziose ma anche monumentali e accese,
le composizioni molto equilibrate e statiche, ma anche dinamiche ed
elegantemente energiche. Antonio Canova fece suo l’ideale di bellezza classica
e fu in grado di farlo rivivere attraverso il marmo. Le sue sculture,
caratterizzate dalla compostezza dei gesti, dall’eleganza armoniosa delle forme
e da una estrema levigatezza del modellato sono famose in tutto il mondo. L’arte
del Canova ebbe un’influenza enorme sulla scultura del primo Ottocento: artisti
d’ogni paese si formarono alla sua scuola e ne diffusero ovunque i principi e i
modi. La
maestria e la genialità di Canova hanno reso le sue opere d’arte dei capolavori
senza tempo, tanto da influenzare sia la produzione a lui contemporanea sia
quella più recente. Ad esempio, se consideriamo il suo influsso sulla produzione
tardo ottocentesca, è d’obbligo menzionare lo scultore August Rodin che
riprende in un’opera un tema già trattato da Canova. Infatti, nel 1884 realizza
la scultura Eterna Primavera in cui rappresenta la fusione dei
corpi di Amore e Psiche, celebre mito che prima era stato ripreso nell’omonimo
capolavoro canoviano. Nell’opera, di cui c’è una versione in bronzo e una in
marmo, lo scultore francese pone in evidenza i dettagli dei muscoli e
dell’anatomia dei corpi, idealizzando quindi le figure dei protagonisti, ma fa
emergere tutta la loro carnalità, sensualità ed erotismo. Cattura un momento di
passione umana travolgente. Riprende dunque lo stesso tema che Canova aveva
scolpito tra il 1787 e il 1793: anche nel capolavoro dell’artista veneto c’è la
fusione dei corpi dei due amanti, ma ci sono delle differenze compositive
rispetto all’opera di Rodin. Amore, nell’opera neoclassica, giunge dall’alto e
Psiche inarca le braccia verso di lui, le labbra dei due si sfiorano senza toccarsi
e l’intensità amorosa è data dall’incrocio dei loro sguardi; l’erotismo dunque
è sott’inteso e delicato. Altro elemento che differenzia le due opere è
l’importante presenza delle ali nella scultura canoviana, Rodin invece non
sottolinea questo aspetto: rende più evidente l’erotismo umano rispetto alla
dimensione mitologica. I due artisti dunque mettono in evidenza aspetti
differenti dello stesso soggetto, nello scultore francese il lato posto in
risalto è quello umano e passionale, in Canova invece c’è una sensualità che
travalica i confini della carnalità ed è legata al desiderio. Si percepisce
dunque un fil rouge che unisce la produzione scultorea di questi due artisti,
si esprimono con lo stile del loro tempo ma hanno sempre un occhio rivolto al passato.
Anche nella tecnica i due sono assimilabili: per entrambi l’iter di produzione
artistica prevedeva prima il bozzetto in creta, poi il modello in gesso e
infine l’opera in marmo. C’è poi un artista della
prima metà del ‘900 che si forma sui lavori di Antonio Canova, lo scultore
veneto Arturo Martini. Nel 1906 infatti frequenta lo studio di Antonio Carlini,
artista trevigiano, che gli trasmette il suo amore per Canova. L’influenza dei
bozzetti in creta dello scultore neoclassico è sicuramente rintracciabile in
alcune delle terrecotte di Martini. L’opera in cui maggiormente si può
percepire il debito verso Canova è il Figliol Prodigodel 1926,
accostata dagli studiosi al Monumento Funebre a Maria Cristina
d’Austria (1798-1805). Il bronzo rappresenta la conclusione della parabola
ovvero il momento del perdono del padre nei confronti del figlio; c’è dunque un
dialogo tra la senilità e la giovinezza che allude anche al rapporto tra il
linguaggio contemporaneo e la cultura classica. Utilizza forme semplici e
arcaiche, però ricche di emozioni riconducibili alla sfera umana. Le opere di Martini
sono dei continui rimandi alla scultura classica, a quella egizia e alle opere
dei grandi maestri come Verrocchio o Giotto; come lui stesso affermava, il suo
lavoro era quello di considerare elementi del passato per adattarli ai suoi
capolavori, eliminando ogni riferimento accademico e rendendo l’opera ricca di
mistero. In questa ripresa del passato si inserisce anche l’apporto artistico
di Canova nella sua produzione. Altri esempi in cui si può vedere l’influenza
canoviana sono nell’opera La Pisana(1928-29) in Pietra Serena o nella
controllata sensualità della Donna che Nuota Sott’acqua(1941-42) in
marmo di Carrara. Ci sono poi due scultori,
molto rilevanti nel panorama artistico odierno, che nelle interviste hanno più volte
sottolineato l’importanza della figura di Canova nella loro formazione
artistica: Marc Quinn e Jago. Il primo è un artista inglese nato nel 1964 e
membro del gruppo Young British Artist (di cui fa parte anche il celebre e
chiacchierato Damien Hirst); le sue sculture sono una rappresentazione in senso
neoclassico del corpo, anche se l’intento non è più quello di rappresentare la
perfezione, quanto di rendere accettabile la malattia che modifica il corpo. La
serie The Complete Marbles(1999-2005) è infatti composta da statue
in marmo che riprendono l’armonia e la compostezza neoclassica, ma hanno come
soggetti uomini e donne mutilati o disabili; nell’opera Stuart Penn,
ad esempio, il soggetto è rappresentato in tutta la compostezza e l’eleganza
della statuaria classica, ma è mancante di una gamba e di un braccio. L’intento
di Quinn è quello di demistificare l’idea della perfezione del corpo favorendo
l’accettazione della diversità. Le statue della classicità, pur essendoci
spesso giunte prive di parti, non ci appaiono deformi; l’artista ci porta a
compiere lo stesso tipo di ragionamento anche sui suoi soggetti. Quando si
ammira al Louvre la Nike di Samotracia non ci si rende conto che è mutila, ci
appare in tutta la sua bellezza e armonia; lo stesso accade quando ammiriamo i
magnifici marmi di Quinn. C’è poi Jago, un giovane
artista italiano nato nel 1987. Il suo ingresso nel mondo dell’arte si ha alla
54° edizione nella Biennale di Venezia, in cui viene selezionato dal Professor
Vittorio Sgarbi. Al Padiglione Italia, espone il busto in marmo di Papa
Benedetto XVI grazie al quale riceve la Medaglia Pontificia. La sua produzione
artistica può essere definita iperrealistica perché ogni aspetto del corpo,
anche quello più piccolo e nascosto, viene rappresentato con estrema minuzia e
precisione. Le sue sculture hanno alla base i grandi maestri dell’arte del
marmo, tra cui anche Canova, ma la sua maestria è quella di creare delle opere
nuove ed estremamente contemporanee che però mantengono l’armonia, la bellezza
e la compostezza di quelle del passato. Questi sono solo alcuni degli scultori
del panorama dell’arte contemporanea che guardano agli insegnamenti di Canova;
non si riferiscono a lui come a un modello da superare, ma come a un maestro
del quale seguire insegnamenti e consigli per rappresentare la bellezza del
mondo. Questi artisti riescono a plasmare il marmo come fosse un materiale
malleabile, rendendo le loro opere armoniche e leggiadre come faceva Canova. ·
Salito presto in alta fama, fu
l'ultimo raggio di gloriosa luce che la cadente Repubblica, prima della morte,
mandò. Per lui la scultura si rialzò dall'avvilimento, nel quale giaceva dopo i
tempi del Buonarroti, rinfrancata soltanto da qualche tratto di genio, nei
grandiosi monumenti del Bernini. Ricondottala all'ufficio d'imitare le bellezze
della natura dove si trovavano, seppe in ogni maniera di soggetti esprimere i
sentimenti più svariati e più nobili dell'animo umano, in stile or severo ora
mesto; e nella grande composizione distinguersi per l'altezza dei pensieri. (Enrico Poggi) ·
Se non avessimo avuto il
Canova, grandissimo dinanzi ad ogni scuola, male sapremmo dire chi avrebbe
potuto sostenere la riputazione artistica dell'Italia nel primo ventennio del
secolo presente (Marco Tabarrini). ·
Quel che la natura poteva ma
non volle fare, bellezza e Canova possono! Al di là della forza di
immaginazione, al di là dell’arte sconfitta del Poeta, con l’immortalità come
sua dote, ammirate la Elena del cuore! (George Byron sul
busto di Elena del Canova).
Ciò che mi rende più impaziente è vedere
l'effetto che l'opera produrrà sulle anime del pubblico. (Antonio Canova).
La forma plastica non
rappresenta la figura, ma la sublima, ne trasforma l'essenza, [...] la cala e
la isola nello spazio reale e, isolandola, la idealizza [...]: forma-oggetto
che risolve in sé ogni relazione spaziale, si racchiude in un involucro
impenetrabile, si pone come presenza altamente problematica dell'ideale nel
reale, dell'assoluto nel relativo. (Antonio
Canova).
Antonio
Canova fu lo scultore del bello, della grazia, della monumentalità. Fu lo
scultore che seppe eguagliare e superare lo splendore delle antiche sculture
greche e romane e per questo, fu lo scultore divino, lo scultore per
eccellenza, il più grande di ogni epoca, capace di dare leggerezza e sinuosità
al marmo, dotandolo di vita e psicologia, capace di trasformare quel pesante
materiale in tenera carne e al contempo in vigore dinamismo e capace con la sua
arte di incantare gli occhi di chi la osserva, entrando in quella dimensione
divina che contraddistingue il suo tocco, unico e ineguagliabile, di artista. (Dario Romano di Arte Divulgata).
Canova, Amore e Psiche.
Canova, Teseo e il Centauro.
Canova, Paolina Borghese.
Canova, Monumento funerario a Maria Cristina d'Austria.
Canova, Gipsoteca di Possagno.
Canova, Tempio di Possagno.
Meraviglioso articolo su un artista divino, scritto con cura, passione, dedizione ed amore per la sua arte, perfetto come sempre. Ogni volta che passo a vedere la sua Gipsoteca di Possagno rimango incantata dinanzi a tale bellezza. Canova è Bellezza!
RispondiEliminaBravissimo, articolo impeccabile. Canova divino.
RispondiEliminaHai una cultura immensa, complimenti. Riguardo Canova, l'aggettivo che mi viene in mente è Perfezione totale.
RispondiEliminaSempre completo, preciso ed impeccabile, bravo per i contenuti che crei. Canova è inimitabile.
RispondiEliminaOgni tuo articolo è una perla, ogni opera del Canova è incanto.
RispondiEliminaAmo Canova e le sue opere😍 spiegato da te ancora di più, mi hai fatto scoprire tante storie ed aneddoti nuovi grazie!!!
RispondiEliminaGrazie, con le tue parole fai apprezzare e capire l'arte ancora di più, un divino artista raccontato da un divino divulgatore, storico e critico!
RispondiEliminaSei una garanzia quando parli di Arte, e che dire di Canova, inimitabile!
RispondiEliminaChe opere MERAVIGLIOSE!!! Non sembra possibile che mani umane abbiano fatto questo...grazie❤️
RispondiEliminaCome dato di fatto si può dire che le capacità del grande Canova superino i limiti umani, per la sua magnifica creatività che si ritrova in ogni sua opera di inestimabile valore universale .
RispondiEliminaL'artista internazionale per antonomasia, è stata una figura troppo grande ed importante per tutti, che non si limita solamente alla storia dell'arte. Nobile d'animo, divino nella creatività, Canova è stato la parte migliore del mondo, e lei prof. Romano è il miglior divulgatore e critico d'arte dei giorni d'oggi, chapeau per la sua descrizione di questo divino artista.
RispondiEliminaHai un dono incredibile nel saper raccontare l'arte, sei capace di far emozionare il lettore, proprio come fece il grande Canova con le sue opere. 👏🏻
RispondiEliminaProf. Dario Romano i suoi articoli d'arte sono sempre eccellenti, delle gemme preziose di cultura. Amo Canova e le sue opere, e ha descritto questo ineguagliabile artista nel migliore dei modi, raccontano anche aspetti meno noti che non sapevo, infinitamente grazie.
RispondiEliminaL' artista che ha dato un nuovo impulso all' arte classica, neoclassicismo le sue sculture e gruppi marmorei sono di una perfezione assoluta e di una eleganza raffinata e preziosa l' espressioni dei volti sono puri e nel cuore simbolico. Non incontreremo un altro artista come lui
RispondiEliminaArte Divulgata opere splendide spiegate da in bravissimo divulgatore d’arte.
RispondiEliminaIl primissimo industriale del marmo , di grande classe e assoluta artisticità.
RispondiEliminaUn grande! Bella rassegna fotografica delle sue note opere
RispondiEliminaIl migliore.
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminaÈ sempre il nostro più grande rappresentante dell Italia
RispondiEliminaChe meraviglia ❤️
RispondiEliminameraviglioso, Canova
RispondiEliminaAMO le sue opere!
RispondiEliminaQualche anno fa sono stato a Possagno, dove c'è la casa, studio, museo. Che artista incredibile
RispondiEliminaMeraviglia!
RispondiEliminaPuro splendore 😍
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