Dario Romano: Il Giovedì Santo nel segno dell'umiltà e dell'umanità, con Tintoretto
Tintoretto, Lavanda dei Piedi, 1548-49, 210x553 cm, Museo del Prado, Madrid, olio su tela.
Nel 1547 la Scuola del Santissimo Sacramento della Chiesa di San Marcuola, a Venezia, commissionò a Jacopo Robusti, in arte Tintoretto, una Lavanda dei piedi. L'artista ci racconta l'episodio del Nuovo Testamento (Giovanni 13, 1-20) in cui tutto accade nella stessa sera dell'Ultima Cena, precisamente poco prima. Tintoretto raffigura molti apostoli nell'atto della discussione, come possiamo evincere dai loro gesti d'interazione e dai loro movimenti: essi discutono perché ciascuno di loro vorrebbe sedere accanto a Gesù durante la cena, e discutono anche su chi fosse il più importante apostolo. Gesù tenta di calmare le acque, raccontando loro la parabola in cui egli dice la famosa frase "Gli ultimi saranno i primi", dicendo anche che il più importante tra loro sarà colui che diventerà schiavo dei suoi fratelli. Detto ciò, Gesù inizia a lavare i piedi dei suoi discepoli e tutti rimangono senza parole poiché in quel momento Cristo diventa il più umile tra loro. Tra tutti, solamente Pietro ha qualcosa da dire "Signore, lavi i piedi a me?" e Gesù risponde che se non avesse accettato non lo avrebbe raggiunto nella Gloria eterna del Padre. In sostanza è questo l'episodio che ci racconta il Tintoretto in questo dipinto. Ma come ci ha riprodotto il Tintoretto tale episodio? La protagonista principale è la forte esaltazione dell'umiltà umana che il pittore ha prodotto magistralmente con il suo pennello. Ci troviamo nel momento in cui il Cristo lava i piedi a Pietro, all'estrema destra del dipinto, e così sorge spontaneo chiedersi il perché di tale scelta compositiva. La risposta la si trova nell'originaria collocazione del dipinto: esso si trovava nella Chiesa di San Marcuola, a Venezia, precisamente sul muro destro del presbiterio e trovandosi in questa posizione, Gesù che lava i piedi a Pietro - nella parte destra del dipinto - sarebbe stato il punto principale d'esaltazione all'occhio dello spettatore. Le parole del Cristo devono aver fatto breccia all'interiore degli apostoli, impegnati in umili atti come il togliersi i sandali (apostolo di sinistra) o l'aiutare un compagno anziano a togliere gli stivali. Tintoretto racchiude il tutto in una estrema e rigorosa profondità prospettica, abilità in cui fu un maestro indiscusso, dal quale sullo sfondo notiamo architetture classicheggianti, con il canale veneziano occupato da una gondola. Il paesaggio che notiamo a destra è ricco di vegetazione e rovine, ma il dettaglio che risulta più interessante in questa zona di campo ed osservabile sopra la testa del Cristo, è l'interno di una stanza, dove si svolge l'evento successivo: l'Ultima Cena.
Tintoretto, l'Ultima Cena, 1592-94, 365x568, Basilica di San Giorgio Maggiore, Venezia, olio su tela.
Spesso riconosciuto come ultimo grande capolavoro dell'artista, nell'Ultima Cena il Tintoretto applica all'estrema conseguenza la sua dote nell'immortalare la profondità prospettica della composizione. Difatti notiamo una rottura con le tradizionali iconografie con le Ultime Cene degli artisti precedenti, e notiamo invece una straordinaria innovazione, dove l'artista dipinge il tavolo in prospettiva di scorcio diagonale e così vengono collocati anche i personaggi, che svolgono l'azione seguendo questa direzione di profondità diagonale. Il più straordinario cervello della pittura (così era noto Tintoretto), colloca la scena in una taverna Veneziana del tempo, ma a parte il pavimento decorato, il resto dell'ambiente è piuttosto umile e non rispecchia lo sfarzo nobiliare tipico della Venezia del tempo, dunque ritorna il forte concetto di esaltazione d'umiltà d'animo umano, visto in precedenza con la Lavanda dei Piedi. Sul soffitto si nota l'eleganza di alcuni angeli danzanti, mentre Cristo e gli apostoli sono seduti lungo la disposizione della tavolata. Tintoretto, com'è tipico nella sua arte, parte sempre dal buio, dunque da un fondo scuro, per arrivare alla luce, creando straordinari effetti luministici di chiaroscuro, che anticiperanno il Caravaggio. Guardando l'opera in effetti sembra proprio di trovarci dinanzi ad un Caravaggio, e notiamo una fonte principale di luce data dalla presenza della lampada ad olio in alto. Quest'opera aprirà ufficialmente le porte al Barocco e questo particolare artificio della lampada influenzerà oltre al già citato Caravaggio, artisti come Rubens, Rembrandt, Vermeer e Velazquez.
Dettaglio della lampada ad olio.
Il Tintoretto aggiunge personaggi, oltre a quelli raccontati dalla tradizione. Gesù è l'uomo che vediamo in piedi, dotato di una bellissima e luminosissima aureola, ed è impegnato nell'atto dell'Eucarestia. Tra tutti i discepoli, quello che appare stilisticamente più interessane è Giuda Iscariota. Egli è l'unico degli apostoli a non avere nessuna aureola ed è volontariamente imbruttito dal Tintoretto, che lo trasforma quasi in una bestia con un volto poco raccomandabile e con un bruttissimo vestiario. Alle spalle di Giuda è possibile notare un altro dettaglio molto realistico, altro simbolo d'umiltà, ovvero una cesta con una spugna ed un telo, la stessa usata per il precedente momento della Lavanda dei piedi fatta da Cristo. Il buio regnante della composizione, in aggiunta ai gesti degli apostoli - molti di loro si agitano in maniera confusa generando concitazione e forte dinamismo - donano alla scena una forte teatralità scenografica, ragion per cui del Tintoretto si disse che fosse il primo regista cinematografico della storia e difatti osservando la tela del vivo è come se si facesse parte all'interno di essa, sia emotivamente che fisicamente. L'artista non smette di stupirci: nel lato sinistro della composizione, infatti, troviamo la raffigurazione di due donne in piedi. Guardandole, molti penserebbero che si tratti di due cameriere, ma in realtà non è così. Le due donne non stanno portando assolutamente nulla agli apostoli, in quanto i loro vassoi sono vuoti. Esse non sono altro che due figure allegoriche e rappresentano l'unione della Chiesa degli Ebrei e della Chiesa dei Gentili, da cui si genera la nuova Chiesa Cristiana. In primo piano a sinistra notiamo anche un umile mendicante nell'atto di chiedere l'elemosina ad un apostolo, che a sua volta lo ignora, in quanto non è il momento adatto perché impegnato ad ascoltare il Cristo. Quest'ultimo dettaglio non dev'essere assolutamente confuso con una cattiveria, ma è al contrario un particolare estremamente importante e fondamentale di religiosità: esso simboleggia l'esaltazione della carità spirituale, più importante di quella materiale chiesta dal mendicante. La parte superiore del dipinto, dove notiamo gli angeli, è particolarmente importante perché segna una divisione tra mondo terreno e mondo spirituale. Tutta questa ricchezza stilistica è dovuta grazie all'impiego della geniale prospettiva di scorcio della disposizione del tavolo, menzionata all'inizio, in quanto dona al pittore maggiore libertà d'azione e d'esecuzione, ma tornando per un secondo ad osservare le fonti di illuminazione notiamo che oltre alla luce della lampada ad olio, risulta particolarmente straordinaria quella dell'aureola del Cristo, comparata a quella degli apostoli. L'aureola del Cristo è infatti diversa, è più grande e rende più luminosa la scena e dunque si hanno tre livelli di luminosità: la luminosità profana simboleggiata dalla lampada ad olio, la luminosità religiosa emanata dall'aureola di Cristo e dei suoi discepoli, ed infine la luminosità spirituale emanata dagli angeli posti nella parte superiore del dipinto, che esalta al contempo la spiritualità di cui si caratterizza questo dipinto: una forte esaltazione dell'umiltà, in una storia che il Tintoretto ci racconta in una maniera magistrale, tanto umana quanto realistica.
Articolo di Dario Romano.
Per approfondimenti, il contenuto è tratto dal mio libro Manierismo: I grandi maestri della pittura
Grazie professore, per questa ennesima perla di cultura che ci regala con i capolavori del Tintoretto. Ne approfitto per augurarle una serena Pasqua.
RispondiEliminaBellissime queste opere del Tintoretto e bellissimo il suo commento, grazie ❤️
RispondiEliminaQuanto amore che si intravede nel suo commento, non solo verso il Tintoretto, straordinario artista, ma nel voler raccontare l'arte. Abbiamo bisogno di più persone come lei, soprattutto se penso che in Italia abbiamo tanti direttori di musei stranieri, mentre persone italiane così capaci come lei no... È un privilegio comunque leggerla! 😊
RispondiEliminaVi ringrazio tutti! ❤️🎨
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